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Corriere Della Sera

Un futuro che non rinuncia al passato ... Trentino, l’unica regione d’Italia che fa rima ( con vino”: anni fa questo slogan animò una grande campagna pubblicitaria che ebbe successo sui mercati nazionali. A Trento e dintorni, invece, fiorirono le polemiche: molti sostennero si trattasse di un’esagerazione, perché “mica siamo gli unici a vendemmiare”. Ecco, si può partire da qui se si vogliono capire le ragioni per cui la fama enogastronomica del Trentino sia relativamente recente e, tutto sommato, talvolta inferiore a quanto le eccellenze della filiera agroalimentare meriterebbero. Dovete capirli, i trentini. Il loro dna è ancora intriso di cultura montanara: l’essere conta più dell’apparire. Anzi, l’apparire è un comportamento sospetto: la gente concreta è di poche parole e dubita di chi parla tanto. Non bastasse, i tesori della terra fino a non molti anni fa richiamavano un passato di povertà e la fatica di un’agricoltura di sussistenza. Nonostante ciò, il lavoro di alcuni personaggi sulla qualità e la lungimiranza hanno ormai sfondato in Italia e nel mondo. I numeri sui quali contare sono di un certo peso: la vendemmia garantisce una produzione di oltre un milione di quintali, mentre dalle cantine escono 800mila ettolitri di vino. E i cinque milioni di turisti accolti ogni anno (senza contare gli escursionisti) rappresentano dei buoni consumatori che poi, quando tornano nelle loro case, si trasformano spesso in ambasciatori delle prelibatezze locali. Gli apripista del marketing, in ogni modo, non hanno avuto vita facile in casa. In Trentino c’è un forte sentimento solidaristico: per troppo tempo si è ritenuto che valorizzare le punte di diamante significasse penalizzare la grande massa. Tale atteggiamento, peraltro, ha avuto almeno un vantaggio, ossia la crescita di una produzione di buon livello qualitativo a prezzi contenuti. A soffiare il vento nelle vele dei campioni dell’enogastronomia hanno provveduto qualche padre nobile e soprattutto i giovani che, tra mille resistenze, sono alla fine diventati “profeti” fuori dai confini domestici e poi anche dentro. Spumanti e grappe hanno tracciato il solco, quindi si sono inseriti i vini, le mele, la ristorazione. Sono stati riscoperti e rilanciati antichi formaggi, nonché salumi unici come la mortandela e la ciuiga. L’alta qualità e la “tipicità” dei prodotti, insomma, oggi sono finalmente riconosciuti come un valore aggiunto di tutto il Trentino. La tradizione, poi, si sposa con l’innovazione, non solo dal punto di vista “industriale” e delle strategie di marketing, ma anche e soprattutto nell’elaborazione dei prodotti. Spumanti, vini e grappe si arricchiscono di nuove varianti per andare incontro ai gusti del consumatore. E la ristorazione realizza straordinari matrimoni tra vecchio e nuovo. Ovviamente, non sono ancora tutte rose e fiori. Permangono purtroppo divisioni che impediscono di sfruttare tutte le risorse per fare massa critica. Nel complesso, però, i passi avanti sono stati notevoli. Ho sempre pensato che “indagando” sul cibo di un popolo fosse possibile scoprirne la cultura. Sicuramente questo è vero nel caso Trentino che, da terra di immigrazione, oggi è un polo internazionale della ricerca capace di attrarre perfino un gigante come Microsoft che qui ha un centro in cui si studia L’informatica applicata alle biotecnologie. Perché all’ombra delle Dolomiti si bada al sodo, si disdegnano gli orpelli, si coltivano i valori del passato tuttavia si è capaci di guardare avanti. Con il passo del montanaro: lento ma sicuro.

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