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Corriere Della Sera

Il boom dell’Istituto Agrario di San Michele ... Studenti a grappoli nella scuola del vino ... Ribattezzato Fondazione Edmund Mach, questo “ateneo” forma l’élite dell’enologia italiana. Qui hanno scoperto i genomi di vite, melo e fragola che permettono di selezionare le piante … Quando si stappa un Nero d’Avola, e lo si degusta pensando al calore del sole di Sicilia, bisognerebbe anche rivolgere un grazie ai trentini. Sono in pochi a saperlo, ma se i vini siciliani hanno smesso di essere usati per il taglio e hanno cominciato a vivere di vita propria e a essere così apprezzati in tutto il mondo, lo si deve anche agli enologi arrivati da San Michele all’Adige. Cosa, questa, particolarmente significativa da sottolineare nell’ultimo scorcio del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, considerando anche che quando la scuola agraria è stata fondata, nel 1874, nessuno neanche pensava che il Trentino, asburgico da un bel p0’ di secoli, sarebbe diventato italiano e il più noto degli irredentisti trentini, Cesare Battisti, sarebbe nato soltanto un anno dopo. E questo della rinascita del vino siciliano non è neanche il colpo più importante messo a segno dai tecnici trentini. Tra le mura della Fondazione Edmund Mach, già Istituto agrario di San Michele all’Adige, nel 2007 è stato tracciato il genoma della vite. Dagli agronomi di tutto il mondo si è alzato un “ooh” di meraviglia, replicato tre e quattro anni più tardi, quando sono stati tracciati i genomi del melo e della fragola (uva, mele e piccoli frutti sono i tre più importanti prodotti agricoli trentini). Ora, tra i profani sorge spontaneo chiedersi a cosa serva tracciare questi genomi. Semplice: a individuare le piante più forti, che resistono meglio a malattie e parassiti, coltivare quelle e lasciar stare le altre, e quindi usarle per gli innesti. Innesti, sia ben chiaro, niente ingegneria genetica. Il risaltato pratico è importantissimo: piante più resistenti comportano un minor uso cli fitofarmaci, e ridurre la chimica significa avere un ambiente più sano e un’agricoltura maggiormente sostenibile. Certo, piante resistenti si possono ottenere anche con gli incroci, come usavano i nostri nonni, solo che ci volevano vent’anni, oggi ne bastano due.
Certo è che quando Edmund Mach si insediò nell’ex convento agostiniano duecentesco non aveva idea di come sarebbe stato l’istituto quasi 137 anni più tardi. Ha un’età, non c’è dubbio, ma scoppia di salute. Abituati a leggere dei tagli alle scuole e di allievi che si devono portare la carta igienica da casa, questo appare davvero un altro pianeta (sul quale santa Provincia autonoma vede e provvede). Su una superficie di cento ettari c’è un po’ di tutto: vigneti, la scuola, il convitto (“Oggi ci sono 170 ragazzi, quattro anni fa erano 80”, sottolinea con orgoglio Alessandro Carlo Dm1, il direttore), gli istituti di ricerca, i laboratori oltre al monastero, naturalmente. Le due cantine medievali dell’edificio vengono usate tuttora, i 50 ettari coltivati a vite (altrettanti lo sono a melo), dove crescono tutti i 22 vitigni presenti in Trentino e dove gli studenti si esercitano a potare, producono ogni anno 250 mila bottiglie di vino, 10 mila di spumante metodo classico Trento doc, 4.500 di grappa e 1.100 di acquavite. La produzione viene commercializzata per un terzo nel punto vendita della Fondazione, il resto nel Trentino, un po’ a Roma e in una trentina di ristoranti degli Stati Uniti gestiti da trentini. “Ma noi siamo un’associazione no profit, ci basta produrre in pareggio”, precisa Dini. Nella Fondazione sono presenti 845 studenti, 50 dottorandi, lavorano 90 docenti e oltre 150 tecnici e tecnologi (le coltivazioni sono affidate a una cinquantina di persone). In Italia ci sono altri due enologici, a Conegliano e ad Alba; “sono ugualmente buoni tutti e tre, solo che noi abbiamo molto altro”, osserva Dini e questo “altro” è rappresentato dai corsi master, dal corso di laurea triennale in viticoltura ed enologia, ai corsi “per adulti” ai quali partecipano numerosi quarantenni intenzionati a tornare ai campi. Quella che, per la precisione, si chiama Scuola internazionale di dottorato in genomica ed ecofisiologia delle piante da frutto è entrata in funzione dal 2009 (quindi, essendo triennale, i primi diplomati usciranno quest’anno), ha accordi con 21 università di tutto il mondo, arrivano studenti da Cina, Pakistan, Giappone e per statuto non possono lavorare a San Michele, devono tornare negli istituti di provenienza. La ricerca e la tracciatura del genoma sono dovuti all’impegno del genetista Francesco Salamini, attuale presidente della Fondazione, che dopo esser stato direttore del prestigioso Istituto Max Planck di Monaco di Baviera, ha voluto fare di San Michele un centro di eccellenza. E se oggi le golden delicious Me- linda sono presenti sulle nostre tavole tutto l’anno, con il medesimo gusto che hanno quando sono colte dall’albero, lo dobbiamo anche al sistema con ben determinati gradi di refrigerazione e umidità messo a punto nei laboratori di San Michele. Ovvero, quando la scienza aiuta a migliorare la qualità della vita.

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