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Corriere Della Sera

Soffia il vento di Alinghi sul Brunello di Montalcino ... Il vignaiolo lascia, arriva la famiglia dell’industriale-skipper ... L’ingegnere romantico e burbero se ne va, il vento del nord porta i colori di Alinghi a Montalcino. Dopo una trattativa che sembrava non finire mai, Piero Palmucci ha venduto Poggio di Sotto, una delle aziende più premiate del Brunello. Ora sventola il guidone velico cli Enrico Bertarelli, l’industriale farmaceutico svizzero: più di 15 milioni di euro è la cifra che si favoleggia abbia pagato Claudio Tipa, patron di Colle Massari (a Montecucco) e di Grattamacco (a Bolgheri) e zio di Bertarelli. Un passaggio di mano che, secondo Ezio Rivella, il presidente del Consorzio del Brunello, “indica che questa zona è viva, si rinnova e cresce”. E lo dice mostrando i dati: 9,3 milioni di bottiglie vendute nel 2011, un milione in più rispetto al 2010, “risultato eccellente, nonostante la crisi che ci spinge a raccogliere l’entusiasmo dei mercati d’Oriente”. Ma la vendita di Poggio di Sotto non è solo questo. Indica anche come si sta trasformando Montalcino, da anni teatro di una battaglia fra i puristi delle regole (“solo uve Sangiovese per il Brunello”) egli innovatori (favorevoli a qualche ritocco “per renderlo meno austero”). La battaglia è stata vinta dai puristi, senza più appelli. L’annata 2007 è da pochi giorni in enoteca, Wine Enthusiast l’ha definita una delle migliori dall’inizio del millennio. La sfida si gioca ora solo in cantina tra i tradizionalisti come Fabio Tassi con il suo profumato Fanti, i cultori dell’eleganza degli aromi come Giacomo Neri con il Tenuta Nuova, o della ricerca di nuovi equilibri come Ferenc Matè e Roberto Giannelli di San Filippo con Le Lucere. La generazione dei pionieri sta lasciando gradualmente il posto: in qualche caso la tradizione familiare continua, come per Biondi Santi, talvolta con aspetti da saga come per i Cinelli Colombini. In altre zone tra i fiumi Ombrone e Orcia, si fanno largo gli uomini dei grandi numeri, come Antinori e come, appunto il team Tipa-Bertarelli. Quelli del primo Brunello si fanno talvolta da parte con il pacato risentimento di chi conclude un capitolo della propria vita pensando che avrebbe meritato di più. Piero Palmucci, il fondatore di Poggio di Sotto, deve averlo pensato quando si è chiuso alle spalle la porta della sua cantina, portando via ogni foglio sulla rete mondiale dei suoi amici-clienti. Era arrivato trent’anni fa sopra questa collina a due passi dall’Abbazia di San t’Antimo, a Castelnuovo dell’Abate, frazione di Montalcino. C’erano tre ettari di vigne in vendita da un contadino. “Ci avevo vissuto da bambino durante la Seconda Guerra Mondiale - ha raccontato Palmucci -. Dopo il liceo ero partito, finendo in Svezia a dirigere un’azienda di trasporti così innovativa da vendere brevetti all’IBM. Ma in valigia avevo sempre il ricordo della mia terra e il sogno di tornarci”. Il sogno di “fare vino per gli amici”, in poco tempo ha preso forme inattese. Poggio di Sotto è diventata una delle aziende di riferimento del Brunello, grazie anche al rigore dell’ingegnere-vignaiolo, un tipo che potrebbe essere uscito dalla penna dell’ingegnere-scrittore Paolo Barbaro. Gli ettari, anno dopo anno, sono diventati 12. “Pochi e selezionatissimi grappoli sulle vigne, per elevare la qualità: 35 quintali d’uva per ettaro contro gli 80 permessi dal disciplinare del Brunello” spiega Chiara Antoni, la nuova manager di Poggio di Sotto. “Non cambieremo nulla in cantina - annuncia - si punterà a conquistare nuovi mercati, allargando l’export attuale centrato sul Nord Europa anche agli Stati Uniti”. Resteranno la “vendemmia verde”, senza aggressioni chimiche. Resterà la fermentazione di quattro settimane, resterà lo spostamento per caduta del vino “per non stressarlo”, mentre viene chiuso in insolite grandi botti in rovere di Slavonia da 25 a 32 ettolitri, elicoidali, studiate da Attilio Scienza dell’Università di Milano. E resterà la mela cotogna gialla che Palmucci appoggiava davanti a ogni botte, convinto dello scambio di sapori tra frutto e vino attraverso i legni. La linea è insolita: “L’intera produzione di Sangiovese - racconta Chiara - viene lavorata allo stesso modo nella prima fase, al termine di due anni d’affinamento si decide, dopo l’assaggio, la parte che si trasformerà subito in Rosso e quella che resterà altri due anni nelle botti per diventare Brunello. Così, se assaggi il Rosso 2007 ritrovi senza fatica (spendendo la metà) lo stesso equilibrio elegante del fratello maggiore. Il migliore, poi, solo in qualche annata, diventa Riserva come quello della vendemmia “a cinque stelle” 2007. Toccava a Giulio Gambelli, il grande vecchio del Sangiovese, passare in rassegna ogni anno le botti Quando si fermava portando il dito alla guancia come fanno i bambini con i dolci, voleva dire che dall’assaggio di quella botte poteva nascere la Riserva. Ora Gambelli non c’è più, Montalcino si è fermata per l’ultimo saluto proprio mentre Palmucci lasciava passare Alinghi.

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