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Corriere Della Sera

Quando “Oskar il rosso” si giocò due bottiglie cli Brunello ... La “Toskana Fraktion” ... Quando Luigi Barzim descriveva la transumanza che ogni anno porta milioni di tedeschi al di qua delle Alpi, osservava che “una leggera follia li trasforma una volta attraversato il confine italiano”. Simili a “salmoni” che risalgano la corrente, “essi sembrano obbedire a un profondo e segreto impulso naturale, si comportano come se avessero perduto i ruoli e le personalità assegnati loro da madre natura, perché questi sono improvvisamente diventati loro estranei o come se le regole della vita fossero d’un tratto state modificate o sospese”. Di tutte le espressioni di questa perenne infatuazione collettiva, una delle più interessanti si manifestò alla metà degli anni Ottanta, quando una fetta trasversale della politica tedesca scoprì le raffinate e semplici dolcezze della più bella regione d’Italia. Un decennio dopo, un acuto studioso di cose germaniche come Roberto Giardina notava che in quella fase in Germania esistessero in realtà solo due partiti: il “Saumagen” e la “Toskana Fraktion”. Il primo, la non digeribilissima pancia di maiale farcita, era il piatto preferito da Helmut Kohl, all’epoca all’apice del suo splendore. Connotava uno schieramento trasversale, che arrivava fino all’allora leader della Spd, Rudolf Scharping: solidità teutonica, semplicità di concetti e gusti, poca flessibilità politica, conservatorismo di fondo a prescindere dalla collocazione ideologica.
L’altro partito, in quel momento all’opposizione, si fondava su una geistliche Angehörigkeit, un’appartenenza dello spirito, capace di conciliare platonicamente le esigenze del verbo militante con quelle del buon vivere. Denominatore comune, nomen omen, era l’amore per la Toscana: i suoi membri, tutti onorari, vi possedevano o affittavano una casa, vi trascorrevano le ferie, ci andavano per meditare o vi organizzavano i loro convegni. “La Toscana - mi disse Petra Rosenbaum, allora assistente personale dell’ex cancelliere Helmut Schmidt e moglie di Ulrich Rosenbaum, il giornalista più famoso della Fraktion - è per loro un luogo molto speciale, ma non significa amore per il lusso come gli avversari vogliono far credere. Si godono la vita, è vero. E in questo sono lontani dalle virtù tradizionali dei dirigenti di sinistra”. In Lucchesia aveva il buen retiro Oskar Lafontaine, che alla vigilia delle elezioni del 1990, quando guidò la Spd alla impari battaglia contro Kohl, appena baciato dalla riunificazione, ebbe la temerarietà di dire: “Mi gioco due bottiglie di Brunello che vinciamo”. Troppo in anticipo sui tempi: i tedeschi non capirono e nonio votarono. A Castelfiorentino aveva casa un altro nipotino di Brandt, il brillante Peter Glotz. I più celebri “tesserati” però erano (e sono) Otto Schily, futuro ministro degli Interni nel governo rosso-verde, proprietario di un eremo ad Asciano. E il verde Joschka Fischer, poi ministro degli Esteri e vice-cancelliere nello stesso esecutivo, fedele affittuario di una cascina sulle colline intorno a Castelnuovo Berardenga. Prima di acquisire un’accezione negativa, la Toskana Fraktion fu sinonimo di leggerezza mediterranea, fantasia nella ricerca delle soluzioni politiche, sensibilità per quell’Europa del Mediterraneo che l’altro partito, quello del Saumagen incarnato dalla mole massiccia di Kohl, vedeva come pericoloso veicolo di decadenza e inaffidabilità. Ma non fu solo metafora: vale la pena di rammentare che Fischer fu uno dei pochi leader tedeschi a sostenere con convinzione l’ipotesi che l’Italia entrasse nel gruppo di testa della moneta unica, quando perfino il cancelliere Kohl, sotto l’influenza della Bundesbank di Tietmeyer, lo escludeva categoricamente.

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