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Corriere Della Sera

Dal Prosecco al Supertuscan ... Il Veneto che si fa in sette Francesco Zonin, le tenute e l’America ... “Nei bottiglioni da due litri e nelle damigiane. Fino a qualche decennio fa il vino nel Veneto si vendeva così, sfuso. Anche nelle aziende che ora compaiono in tutte le guide”. Francesco Zonin è il volto giovane dell’azienda con l’anima a Gambellara (Vicenza) e il corpo diviso in regioni e in un lembo di Old America. Gira il mondo per lavoro ma va in vacanza a Jesolo. E uno di quei tipi del Nordest che Stefano Lorenzetto racconta in “Cuor di veneto”: quelli per cui “il lavoro non è nemmeno un dovere, è il senso stesso del vivere”. Barba incolta, camicia aperta sull’abito scuro, se lavorasse negli Stati Uniti sarebbe un personaggio tv alla Joe Bastianich. Viene da una famiglia che mette assieme terra e finanza, fa parte di un popolo che, come argomenta lo scrittore Ferdinando Camon, è stato sempre malvisto, prima perché povero e produttore cli servette e bigotti, poi perché accusato di essere riccastro, leghista e bevitore di grappini. Ti aspetteresti un rappresentante del turbo sviluppo dei capannoni. Francesco Zonin invece stupisce: non perché sia disattento ai numeri. Da quelli non ci si può distrarre se si sta al vertice di una azienda con 650 dipendenti e 130 milioni di fatturato (+19% nel 2011). Stupisce perché ha una radicata passione per quella che lui definisce “cultura del cm”, del singolo vigneto di qualità. E racconta se stesso attraverso la storia di Denis Dubourdieu, uno dei più noti enologi al mondo. “Era il 1997 - ricorda Zonin junior - il nostro enologo Franco Giacosa era a Bordeaux. Al ristorante il sommelier gli servì non uno dei grandi rossi di quella terra ma un Sauvignon Blanc. Pensò a uno scherzo. Invece il Sauvignon lo colpì al punto che andò nella cantina del produttore. Era Dubourdieu, da allora lavora con noi in Maremma”. L’idea dell’esperto francese è che l’approccio al vino deve essere ludico e leggero. ll risultato è l’Igt Maremma toscana Rocca di Montemassi, uvaggio di Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Syrah. L’annata 2009 ha conquistato i Tre biccheri del “Gambero rosso”. Poco distante nasce l’Acciaiolo, Supertuscan di Castello d’Albola, al vertice nel territorio del Chianti Classico. Metà Cabemet Sauvignon e metà Sangiovese, reso (appunto) più lieve grazie all’uso di barriques datate assieme a quelle nuove. La storia dell’azienda inizia nel 1821: dal 1967 il presidente è Gianni Zonin, che quattro decenni fa iniziò la campagna acquisti delle tenute “lasciando il Veneto senza lasciarlo” e puntando sull’America con Barboursville Vineyards, in Virginia, l’azienda che fece dannare il presidente Thomas Jefferson, diventata la quinta winery del Paese. E mentre Zonin inseguiva il sogno americano ancora i veneti venivano dipinti come commendatori cinici capaci di raggirare anche una sindacalista pura come Palmira-Monica Vitti in “Noi donne siamo fatte così” di Dino Risi. Ora Francesco è il vice del padre, affiancato dai fratelli Domenico e Michele, “Fino agli anni Novanta ci siamo concentrati sulle vigne - ricostruisce Zonin junior - poi sull’espansione fino al 2005, ora è il momento della qualità. Abbiamo fatto un balzo in avanti negli Stati Uniti: avevamo saputo che un grande distributore cercava un sostituto al Moscato, l’abbiamo convinto con il Prosecco Ca’ Bolani, siamo da Walmart, vendiamo Chianti e Negramaro al più grande fornitore di Gdo della Florida”. Ca’ Bolani è l’altro gioiellino di casa Zonin, ad Aquileia, assieme a Feudo Principi di Butera, in Sicilia. Poi ci sono altre 5 cantine: Castello del Poggio ad Asti, Abbazia di Monte Oliveto a San Giminiano, Tenuta il Bosco nell’Oltrepò pavese, Podere il Giangio a Gambellara, Masseria Altemura nel Salento. Quaranta milioni di bottiglie, 1.800 ettari di vigneti. Un colosso. “Ma no, contiamo poco - minimizza Francesco Zonin - solo l’1% del mercato, anche se siamo grandi e secondo i sondaggi siamo il marchio più noto del vino in Italia. Nel mondo i grandi gruppi producono 200 30 volte più di noi”. Sarà anche un “vespaio sociale” il Veneto di oggi visto con gli occhi di Andrea Zanzotto, ma come scrive il poeta di Neve di Soligo, è anche abitato da “imprenditori a modo loro geniali”.

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