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Corriere Della Sera

Canti gregoriani e Depardieu, il Montepulciano di Masciarelli ... “Lei è un animale, ma ha del genio”. Dopo aver ospitato per quattro giorni Gérard Depardieu nel suo castello abruzzese, la vignaiola Marina Cvetic lo ha salutato con rude schiettezza. L’attore francese diventato cittadino russo per via del fisco spesso, ha confessato, non usa coltello e forchetta “perché con le mani i sapori che si percepiscono sono diversi”. Non si è quindi stupito di farsi dare del selvaggio e ha riso, vergando un biglietto affettuoso. “Anche lui è un produttore, un guardiano delle vigne e un grand gourmet”, racconta Cvetic. Nel Castello di Semivicoli, su una collina in provincia di Chieti da cui si scrutano il Gran Sasso, la Maiella e l’Adriatico, Depardieu ha lavorato, bevuto e mangiato. Nonostante i 5 bypass, ha assaggiato l’assaggiabile, sul set di “Niente può fermarci”, diretto da Luigi Cecinelli, con Serena Autieri e Gianmarco Tognazzi. Il film racconta la storia dell’agricoltore solitario Henry (Depardieu) e del viaggio di formazione di quattro ragazzi tra le campagne d’Europa. Quello del seicentesco maniero di Semivicoli, dove una porta segreta collega la stanza della baronessa con la chiesa del paese, è stato l’utimo sogno realizzato da Gianni Masciarelli, il vignaiolo che ha trasformato i vini d’Abruzzo in successi internazionali. Marina incontrò Gianni nel 1987, quando era una studentessa, in vacanza a Spalato. Si innamorarono. “Era pieno di sogni da trasformare in realtà, mi conquistò così”. Un anno dopo lei era responsabile commerciale della cantina. Allora il Montepulciano d’Abruzzo era considerato il figlio di un dio minore, da vendere sfuso. Masciarelli, come si racconta nel libro “Un vignaiolo a modo suo” (Andrea Gabbrielli, I Semi) comprava le uve dal nonno (“Voleva che le pagassi per farmi capire l’importanza della terra, alla sua morte ritrovai tutti gli assegni, non ne incassò uno”). Ha lavorato tutta la vita per trasformare i parenti poveri del vino in grandi interpreti del territorio. Dal 2008 Gianni non c’è più e tocca all’ex studentessa governare la cantina con duemila barrique in cui fa suonare 24 ore al giorno canti gregoriani (“A Gianni questa musica dava pace, ritrovava se stesso all’abbazia di Sant’Antimo”), tra le annate di Montepulciano e Trebbiano. Ora l’azienda ha più di 300 ettari e le iniziali 200 mila bottiglie sono diventate 2,5 milioni. “Giravamo l’Italia per vendere con enorme fatica il Montepulciano - racconta la vignaiola -; era un vino low cost, maltrattato. Noi eravamo vittime di un pregiudizio. Abbiamo impiegato decenni per cancellarlo, spargendo passione, educando consumatori e ristoratori. Cinquemila persone l’anno visitano la nostra cantina, siamo aperti 365 giorni su 365. Anche a Ferragosto. Il risultato è arrivato”. Il Montepulciano e il Trebbiano del periodo iniziale si sono moltiplicati: 15 etichette, da pochi euro a 60. Spiccano il Trebbiano Castello di Semivicoli, il Montepulciano d’Abruzzo Marina Cvetic e il Montepulciano Villa Gemma, che prende il nome dalla prima cantina di Masciarelli. Era la casa padronale, Gianni la riempì di macchinari e botti, si faticava a passare da una stanza all’altra. Dopo anni la liberò, costruendo di fronte a Villa Gemma una cantina d’acciaio con nel ventre le barrique di quercia francese ad alta tostatura. La villa, spogliata da botti e presse, resta un’etichetta, un vino pieno e potente, che ricorda spezie e cioccolato alla menta. La cantina è nascosta nella collina, a San Martino sulla Marrucina, a 20 chilometri dall’Adriatico. I vini sono moderni (a volte spinti nella modernità), quelli di fascia alta sono robusti, internazionali, sotto il segno della barrique che, diceva Masciarelli, “mi piace molto, proprio come oggetto, mi ci farei anche un pediluvio. Ma non la idealizzo, la uso e basta”. Nei campi, accanto ai filari resistono le querce, “perché il bosco per la vigna è la cosa più bella e utile che ci sia”. La differenza tra vigneto e vigneto viene esaltata con tecniche di cantina e non solo. Tre i figli, Miriam, Riccardo e Chiara, che ha girato il mondo con il padre e ora studia alla Luiss di Roma. Non sono più, anche grazie al vino, figli dell’Abruzzo descritto da Ennio Flaiano nel 1971: “Gente rimasta di confine (a quale Stato o nazione? O, forse, a quale tempo?), con una sola morale: il lavoro”. La loro è la generazione on the road del film di Depardieu, il “geniale selvaggio”.

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