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Corriere Della Sera

Lassù tra le vigne, i nuovi vini della Val d’Aosta ... Benedetto XVI si definì un “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”. Ieri Papa Francesco ha esortato a “donare sapienza ai giovani, perché migliorino con gli anni come il buon vino”. Molto prima di loro, anche Pio XII usò il vino come metafora. Nel 1935 descrisse “l’umile fede nel mistero dei misteri a cui il frutto della vigna è così strettamente legato”. La citazione è di Mario Soldati, in “Vino al vino”, viaggio enoico in Italia. Soldati estrae Pio XII dalla memoria durante la tappa in Val d’Aosta. Conosce l’abbé Alessandro Bougeat, “l’unico a produrre ancora l’autentico vino bianco e secco di Morgex”. Lo descrive come “un leale amico nel segno del vino leale”. E parla della leggenda di una sfida a colpi di bottiglie tra i vescovi di Biella, Ivrea e Aosta, vinta da quest’ultimo con il Morgex “eccelso al gusto”, migliore di Nebbiolo e Erbaluce. Poi elogia anche il Passito di Chambave, “praticamente scomparso”. Sarebbe stupito, a 45 anni di distanza dal suo tour valdostano, di scoprire che quei vini sono risorti e vivono un momento d’oro. Eric Asimov, il critico del New York Times ha appena dedicato a questi vitigni un ampio servizio titolato “Tesori delle Alpi”. Lodando soprattutto i rossi, “meravigliosamente particolari”. Questi vini dai pendii più alti d’Europa, un tempo difficili, sono ora equilibrati. E sono reperibili con facilità in Italia. Vengono organizzate sempre più spesso degustazioni: l’ultima dall’Organizzazione nazionale degli assaggiatori (Onav), due sere fa a Milano, con il critico Franco Ziliani. “Tutto è cambiato dai tempi di Soldati - racconta Costantino Charrère, ex maestro di sci e patron di Les Cretes, l’azienda che per prima ha portato nel mondo gli autoctoni della Val d’Aosta -. Allora c’erano soprattutto i parroci ad occuparsi dei vigneti. Adesso ci sono i vignaioli che con fazzoletti di terra sono a riusciti a crescere assieme. I loro vini raccontano queste montagne”. I vigneti si trovano fino a quota 1.200 metri. Più sono elevati, più nel bicchiere si avvertono profumi. “I bianchi, per cui la regione era nota, sono nervosi e fruttati - spiega Charrère - parlano del freddo e della luce delle Alpi. Ora anche i rossi sono straordinari. Ha influito il clima mutato, con il caldo che sale verso le vette e aiuta le uve a maturare meglio”.
Nella Val d’Aosta si producono ogni anno 2,5 milioni di bottiglie da circa 700 ettari. Ci sono 6 cooperative e 36 imprenditori del vino. Dal 1975 c’è una sola doc (“Valle d’Aosta”) con 7 sottodenominazioni territoriali: Blanc de Morgex et de La Salle, Enfer d’Arvier, Torrette, Nus, Chambave, Arnad-Montjovet, Donnas. Les Cretes è il piccolo colosso: 25 ettari, 18 dipendenti, più di 200 mila bottiglie, export dagli Stati Uniti al Giappone: nel medagliere 15 “Tre bicchieri” consecutivi del Gambero rosso vinti con il Cuvée Bois, un sapido Chardonnay. Charrère ha reinterpretato gli autoctoni, come il bianco Petit Arvine e il rosso Fumin. Con lui ci sono i vignaioli che in montagna conquista la terra facendosi largo tra rocce e boschi. Come Elio Ottin, solo 4 ettari: che da 5 anni si è fa notare con il Torrette Superiore e il Petite Arvine. O i 5 fratelli Grosjean, 80 mila bottiglie da 10 ettari senza chimica, il Pinot nero è il fiore all’occhiello. Sono amici di Marco Martin, dell’azienda Lo Triolet, che ha messo a punto un notevole Pinot nero da solo mezzo ettaro di terra. Tra i vignaioli di seconda generazione c’è Giorgio Anselmet: la Maison, fondata dal padre Renato, ha un ricco paniere di vini in cui spiccano il Traminer Stephanie e il Pinot nero. Un caposaldo è l’Institut Agricole Régional, centro di ricerca e didattica che firma vini di qualità come il bianco Perce-Neige. Il direttore, Andrea Barmaz, ha lanciato l’azienda Di Barrò con la moglie Elvira Stefania Rini, puntando su rossi strutturati (Torrette Superiore Ostro) e sul Pinot gris. Tra le coop si distingue Donnas: il Vielles Vignes, a base di Nebbiolo, ha forza e carattere. Altra coop che eccelle è la Crotta di Vegneron con il Chambave Muscat. Sarebbe piaciuto a Soldati, alla pari di quello di Hervé Deguillame, piccolo produttore con La Vrille (un ettaro e mezzo). Nato in Francia e tornato a Verrayes, nella terra d’origine con la moglie Luciana Neyroz, il montanaro Hervé ha alle spalle una bizzarra carriera di marinaio. Come gli altri vignaioli d’alta quota ha un volto “leale nel segno del vino leale”.

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