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Corriere Della Sera

Il Pinot nero e l’ultimo sogno di Francesco ... Il regno del Pinot nero potrebbe essere uno dei luoghi che esistono solo nella finzione, raccontati nell’ultimo libro di Umberto Eco. Come i giardini di Armida del Tasso, l’isola misteriosa di Verne o il Paese delle Meraviglie di Alice. Lande dell’illusione, descritte in “Storie delle terre e dei luoghi leggendari” (Bompiani), che possono diventare reali solo se si decide di “di prendere sul serio un mondo possibile narrativo”, indica Eco. Ma, per una volta, la finzione può trasformarsi in presente. Francesco Arrigoni, indimenticato critico di vino e cibo, firma di tanti viaggi del gusto per il Corriere, sognava un regno del Pinot nero vicino a casa, sulle alture attorno a Bergamo. Un uomo che si è cibato di musica per tutta la vita ha raccolto il sogno, mettendolo in bottiglia. Il vino arriva dal Monte Canto, nome che sembra uscire da un atlante immaginario delle terre del vino.
Il neo viticoltore si chiama Giuseppe Magni. La sua azienda si trova a Tassodine di Villa d’Adda, a 600 metri d’altitudine. E’ un imprenditore che distribuisce cd musicali. “Mia moglie Anna è nata in una delle cascine ora abbandonate del Monte Canto - racconta - abbiamo lavorato duro per rimettere in sesto il terreno e far ricrescere le viti”. Arrigoni abitava non molto distante da quella cascina, ci passava accanto nelle sue passeggiate, prima di lasciarci nell’estate del 2011, a 52 anni. Era convinto che quella fosse una collina da Pinot nero. Una scelta che poteva sembrare controcorrente, certamente più difficile rispetto a quella di Magni, che voleva limitarsi al più “facile” Merlot. Per Francesco, come scrisse occupandosi dei vini dell’altoatesino Franz Haas, il Pinot nero è un
“vitigno nobile capace di dare vita a vini straordinari, ma anche bastardo e insolente, perché imprevedibile nella coltivazione e molto soggetto a malattie e sbalzi climatici, nonché problematico da vinificare, tanto è che è grasso che cola se in un decennio riesci ad infilare cinque annate tra buone ed ottime di Pinot nero di un singolo vigneto”.
Francesco era così convinto che su quella collina, dove resiste la chiesetta in cui si benedicevano i bachi da seta, ci fossero tutte le condizioni per questo vitigno, che suggerì e ottenne il supporto di due nomi importanti dell’enologia italiana, il professor Leonardo Valenti, che si occupa di viti e genetica alla Statale di Milano, e l’agronomo Pierluigi Donna, consulente di molte aziende in Franciacorta e in Toscana.
“Francesco veniva qui tutte le settimane - racconta Magni - l’ha fatto fino alla mattina del suo ultimo giorno di vita. Il progetto del ripristino ambientale è iniziato nel 2007. Quando è arrivato il momento di decidere cosa piantare, mi convinse a scegliere il Pinot nero dopo aver valutato l’altitudine, il microclima e il terreno argilloso. Non ha fatto a tempo ad assaggiarlo ma aveva ragione, la qualità del vino è davvero eccezionale”.
Ora Magni è al quarto raccolto nel suo vigneto a conduzione biologica di circa un ettaro, 4.000 piante di Pinot nero da cui si ricavano 1.500 bottiglie e 4.000 piante di Merlot per altre 2.500 bottiglie. L’enotecnico che ha seguito questo vigneto che sembra un anfiteatro scolpito nella collina si chiama Paolo Zadra.
Ed eccolo, finalmente, il Pinot nero di Magni dedicato nell’etichetta a Francesco Arrigoni. Il primo a promuoverlo è stato un altro vicino di casa, Graziano Foresti, proprietario del ristorante Corte del Noce di Villa d’Adda, che si trova a meno di un chilometro dal vigneto (ora le bottiglie si acquistano a 12 euro anche nelle enoteche della provincia di Lecco). Si chiama Tassodine, in omaggio al luogo dove “i tassi sono così tanti che mi mangiano l’uva”, racconta Magni. Nell’etichetta color crema il simbolo scelto è proprio un tasso. Il vino è classificato come Igt (Indicazione geografica tipica) Bergamasca. La vendemmia è quella del 2011. Trascorre un anno in barrique e poi altri cinque mesi in bottiglia prima di uscire dalla cantina. Ha 13,5 gradi e un color rubino con qualche riflesso granato. E’ vivo, fresco, promettente. “Diretto e riconoscibile - ha scritto Paola Mura sul “Venerdì” - profuma di lampone, ciliegia, mora, con note floreali e balsamiche. Al palato è ricco, vivo, di fine armonia. Da bere con gli amici”.
“E’ stata dura ma ce l’abbiamo fatta - spiega Magni - superando mille ostacoli, soprattutto burocratici. Ho condiviso un sogno con Francesco, ridare la vita a una zona abbandonata, fondamentale per la sopravvivenza delle famiglie contadine che la abitavano fino al secolo scorso”.
Un luogo scomparso, immaginato, riapparso come uno di quelli raccontati da Umberto Eco.

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