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Corriere Della Sera

L’Amarone? Tira il freno ... La fuga in avanti dell’Amarone si è fermata: quest’anno finiranno sul mercato 13,4 milioni di bottiglie. La stessa quantità del 2013. S’interrompe quindi una corsa che sembrava inarrestabile e rapida: nel 1997 si vendeva “solo” poco più di un milione e mezzo di bottiglie. I dati che saranno presentati domani al Palazzo della Gran Guardia di Verona, ad Anteprima Amarone 2010, svelano una salutare frenata, la prima risposta a chi chiedeva meno attenzione esasperata al mercato per avere più energie da dedicare alla qualità. Un grande veneto come Goffredo Parise l’aveva capito e scritto 40 anni fa: l’antidoto all’ossessione nevrotica dei consumi è “l’assaporare (non semplicemente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese che fu agricolo e artigiano (cioè colto)”. Di strada la Valpolicella del vino ne ha fatta tanta: i dati del Consorzio di tutela diretto da Olga Bussinello parlano di 60 milioni di bottiglie in totale (oltre l’Amarone si producono il Valpolicella, il Recioto e il Ripasso) per un valore di 350 milioni di euro, da 7.288 ettari. Il 90 per cento dell’Amarone viene esportato. È un vino costoso, dai 30 euro a bottiglia nella grande distribuzione fino a superare i 200 euro in enoteca. Perché questi prezzi? Perché le uve vengono messe in una sorta di “letargo attivo”, come lo definì qualche anno fa Sandro Sangiorgi sulla rivista Porthos: vengono appassite sui graticci fino alla disidratazione, in modo che le sostanze negli acini siano iper concentrate. Una tecnica richiede tempi lunghi e porta a una riduzione notevole delle rese. Già si usava ai tempi dei Romani, fino agli Trenta usata soprattutto per il Recioto (più dolce, da meditazione), sorpassato poi dall’Amarone, con il mutamento del gusto verso il secco. Quasi 300 mila quintali di uve sono stati lavorati con questo metodo nel 2013. Il successo di vendite che ha cambiato il tenore di vita dell’intera valle. Il rischio dell’aumento produttivo è quello di fare tanti Amarone che si assomigliano, tutti cremosi e alcolici, ricorrendo alla tecnologia per compensare la ridotta selezione delle uve. Il successo, intanto, ha generato speculazioni e contraffazioni in tutto il mondo, contro le quali il Consorzio presenterà domani un nuovo marchio di tutela. Ora qualcosa sta cambiando. Il mare di Amarone non sta diventando, come è accaduto negli ultimi due decenni, ogni anno più grande. Compaiono nuove sensibilità tra i vignaioli. Come Zeno Zignoli di Monte dei Ragni. “Bisogna lavorare per la libertà - ha detto in una videointervista a Mauro Fermariello di Winestories - riesci a vivere producendo 10 mila bottiglie? Basta, perché farne di più? Io me la cavo con 5-6.000 bottiglie l’anno e piano piano cerco di venderle sempre più tardi, a dieci anni dalla vendemmia. Bisogna fermarsi a pensare”. Secondo il super sommelier Luca Gardini, Zeno è uno dei cinque nuovi vignaioli dell’Amarone più interessanti del momento. “Gli altri nomi di aziende da scoprire? Corte Sant’Alda, Massimago, Monte dall’Ora e Zymè - elenca Gardini -. Tra i classici i miei preferiti sono Bertani, con le sue riserve che arrivano dagli anni Trenta, Masi, Quintarelli, Speri e Tedeschi. C’è poi la corrente degli innovatori, quelli che sono andati oltre la tradizione, con un Amarone più rotondo e una evoluzione più rapida: i cinque nomi da segnalare sono Allegrini, Dal Forno, Collina dei Ciliegi, Tenuta Sant’Antonio e Zenato”. L’annata 2010, quella che verrà degustata in questo fine settimana, per Gardini promette vini longevi ed eleganti. “La Valpolicella - avverte Gardini - non deve strafare con i numeri, la terra è quella, se aumenti troppo la produzione soffre la qualità”. Parise avrebbe condiviso: “Bisogna recuperare “l’educazione elementare delle cose” e tralasciare “l’omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione”.

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