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Corriere Della Sera

Le 100 migliori cantine d’Italia Secondo la “bibbia” americana ... La città è Verona, le cantine sono tra le migliori d’Italia. L’evento ha un nome straniero, OperaWine, un richiamo all’Arena. Straniero è anche il gruppo che ha scelto i 100 produttori. E la redazione di Wine spectator, la rivista più influente nel mondo del vino. La lista è alla terza edizione. Sarà presentata al Palazzo della Gran Guardia, il 5 aprile, sarà l’evento che precederà l’apertura di Vinitaly, storica fiera del nostro vino. OperaWine è l’incontro tra 500 importatori e esperti soprattutto dall’estero e i 100 produttori con il loro vino-bandiera, quello destinato al mercato internazionale. Il vino d’Italia da far viaggiare nel mondo. Quello dei grandi e quello dei piccoli vignaioli e della loro sapienza artigianale.
Quando la Napa Valley non era l’attuale eldorado, gli italiani d’America bevevano vino fatto in casa. “Per piccolo che fosse il cortile, là dietro, c’era delle piante di pomodoro, e una vite e un pero, e in ogni famiglia c’era sempre un nonno. Era lui che aveva fatto il vino”. Come racconta Phllip Roth in “Pastorale americana” (Einaudi) prima del vino esportabile c’era il vino faldate. Nel romanzo compare un anziano napoletano (“di cui dicevano che aveva cent’anni e che aveva fatto i guanti per la regina d’Italia”), che sbordava pelli con maestria artigianale, meravigliando l’uomo d’affari che lo pagava pochi dollari ma lo definiva “genio”, spiegando che “l’italiano è sempre più artistico nella sua concezione”. Più di mezzo secolo dopo manualità e creatività sono più vive che mai nel vino(e nel cibo) tricolore. Che, però, è sempre meno bevuto dagli italiani,(38 litri l’anno a testa, negli anni 70 il triplo). Le bottiglie finiscono soprattutto negli Stati Uniti (1,2 miliardi di dollari importato, più di ogni altro Paese). OperaWine, quindi, è la vetrina delle nostre vigne secondo il gusto americano. Per vendere in America (e altrove) quello che non si vende più qui.
Chi sarà esposto, quest’anno, in vetrina? Le famiglie storiche: Antinori, Frescobaldi, Ricasoli. Gli “ambasciatori” già noti da tempo sul mercato mondiale: Angelo Gaja e altri piemontesi come Bruno Giacosa, i Bologna della Barbera di Braida, i Ceretto e i Mascarello del Barolo, i Lunelli delle Cantine Ferrari, i Moretti della Franciacorta (Bellavista) con Maurizio Zanella (Ca’del Bosco), i veneti dell’Amarone e del Prosecco. L’armata toscana: il gruppone del Brunello (da Altesino a Valdicava), i chiantigiani e i loro castelli (Ama, Fonteruoli, Volpaia e Castellare di Castellina), gli alfieri di Boigheri e dei SuperTuscan con in testa Mario Incisa, l’uomo dl Sassicaia. Gli umbri Lungarotti, i Mastroberardino del Taurasi irpino, i Librandi del Cirò calabrese, i sardi Argiolas con i loro Cannonau, i Tasca d’Almerita con il primo vino siciliano a varcare i confini, il Rosso del conte. I classici, insomma. Ma non solo. Gli americani sono cambiati, spiega Tom Matthews, executive editor di Wine Spectator: “Hanno capito che l’Italia può produrre grandi vini, e sono disposti a pagarne il valore. Ma hanno anche cominciato a esplorare l’Italia, alla ricerca di Vitigni autoctoni e stili tradizionali: i bianchi dell’Alto Adige, il vero Lambrusco, i rossi e i bianchi siciliani, il grande Aglianico del Sud”. L’idea dell’anno, secondo Matthews “è di valorizzare anche le cantine più piccole delle regioni meno conosciute. Se i viticoltori rispettano le loro radici, scelgono vitigni autoctoni, lavorano in modo artigianale, i vini italiani troveranno consumatori entusiasti negli Stati Uniti”. Nella nuova lista dei 100, che sarà presentata da Wine Spectator assieme al direttore di Veronafiera Giovanni Mantovani e a Stevie Kim, animatrice di Vinitaly international, ci sono sei debutti. Da Taranto, Gianfranco Fino, super premiato con il suo Es, Primitivo freudiano. Mamete Prevostini, con il Nebbiolo della Valtellina. Gregorio Lillo Odoardi, calabrese, con un uvaggio rosso dedicato al fondatore Giovan Battista. E ancora: dalle Marche Aldo Brachetti Peretti e il suo Pollenza. I nipoti di Donato D’Angelo, fondatore di Tenuta del Portale e interprete, dalla Basilicata, dell’Aglianico. Infine Agricola Punica, in Sardegna, dove si sente la mano di Incisa. Dopo decenni, altro vino italiano per gli Usa, in qualche caso artigianale, diverso da quello narrato da Philip Roth. Ma che contiene lo stesso “genio italiano”.

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