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Corriere Della Sera

Vino, così la Spagna ha sorpassato l’Italia ... A due passi da Piazza Navona, al secondo piano del seicentesco Palazzo Attolico, è esposto il simbolo del sorpasso spagnolo sull’Italia. Oltre il cortile con le statue barocche avvolte dal profumo dagli alberi d’arancio in fiore, una scala candida porta alla sede dell’ambasciata di Madrid per gli affari agricoli. All’ingresso un plotone di bottiglie con le etichette più note del vino di Spagna è disposto sulla libreria al posto dei volumi. Sembra lì per proclamare quello che riassume Amparo Rambla Gil, consigliere d’ambasciata: “La produzione spagnola di vino e mosto quest’anno può raggiungere i 52,6 milioni di ettolitri, un record, un incremento del 34% superiore alla media delle ultime 5 vendemmie”.
I dati ufficiali saranno resi noti a maggio dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino, intanto l’Italia, con i suoi 47 milioni di ettolitri, scivola al secondo posto, e la Francia (42 milioni) al terzo. Un primato non solo sulla quantità. Un esempio? Nel suo ultimo elenco dei 100 vini migliori al mondo, gli americani di Wine Spectator hanno piazzato sullo scalino più alto del podio il Rioja Imperial Gran Reserva 2004 di Cune.
Sembra passato un secolo da quando (nel 1974) debuttò l’investigatore Pepe Carvalho, il gastro-appassionato di Manuel Vàsquez Montalban. Nella sua cantina “scavata in una grotta in cui si vedevano i dorsi impolverati delle bottiglie di vino illuminate da una lampadina con un luccichio quasi sonoro”, c’era molto spazio per i francesi. Mentre le “varietà ispaniche erano scarsamente rappresentate” e destinate a cene “rassegnate”, che non meritavano né un Blancs de Blancs de Bordeaux né uno Chablis.
Il primo ad intuire che l’Italia poteva farsi sorpassare è stato Angelo Gaja, super vignaiolo in Barbaresco, nel gennaio scorso, al ritorno dalla Spagna. In uno dei suoi rapporti stilati con la cura che una banca d’affari dedica all’analisi di un Paese, Gaja ha ammonito:
“Non dobbiamo pensare di avere l’esclusiva dei vitigni autoctoni e storici. Anche la Spagna ne è ricca. Ora può diventare il primo Paese produttore al mondo”.
Gaja invitava a trarre insegnamento dai loro grandi produttori: Vega Sicilia, Telmo Rodriguez e Torres “che sta alla Spagna come Antinori sta all’Italia del vino”.
Poche settimane dopo, il ministro delle Politiche agricole Miguel Arias Canete ha annunciato il primato:
“Abbiamo esportato vino per 2,6 miliardi nel 2013, il doppio rispetto a 10 anni fa, un incremento del 7% dal 2012. Siamo il primo Paese per superficie vitata, con 960 mila ettari, e da quest’anno anche i primi per produzione”.
Come si spiega questo sprint? Non basta il programma europeo che ha ridotto i filari in Italia e Francia: anche gli ispanici hanno decurtato. Né è sufficiente dire che il clima nel 2013 è stato più favorevole per la terra di Don Chisciotte. C’è un terzo (e decisivo) motivo spiegato da Jancis Robinson sul Financial Times: l’irrigazione dei vigneti che ha fatto salire le rese per ettaro, allontanando lo spettro della siccità, soprattutto a Sud. Una pratica spesso osteggiata in Italia dalle regole per i vini Doc e Docg perché può far scendere la qualità delle uve.
Racconta Robinson: “Oggi si stima che il 34% dei vigneti spagnoli sia irrigato, gonfiando così i volumi della produzione”.
Sarebbe però un errore pensare che la Spagna offra vini solo senza fascino.
“Soprattutto nel Nord della Spagna - avverte Robinson - vengono prodotti alcuni dei vini migliori del pianeta”.
Sia nelle regioni classiche (Rioja e Ribera del Duero, ad esempio), sia in quelle meno conosciute, Arlanza, Calatayud, Empordà e Valdeorras. Da bersi con “calici di fine cristallo”, suggerisce Montalban. Perché “ogni vino deve avere il suo bicchiere. Pepe Carvalho accettava pochi comandamenti, ma questo era uno dei più rispettati”.

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