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Corriere Della Sera

Il barolista e i vignaioli contro la burocrazia ... Quello “spettacolo grandioso e improvviso come un’imboscata” che si vede arrivando a Barolo, non è Piemonte. Quelle colline, che incantano il sociologo Marco Revelli “con i filari delle vigne a disegnare trine fitte e regolari come la costruzione di un geniale architetto” non sono le Langhe. Anzi lo sono, ma c’è una legge che impedisce di scriverlo. Legge lunare. È il Regolamento europeo 1308 del 2013, ora recepito nel Testo unico della vite e del vino di cui si discute alla Camera. L’obiettivo è nobile: difendere le denominazioni d’origine (Doc,Igt, eccetera). Il risultato è una beffa. Le imprese del settore vitivinicolo non possono indicare né sulle etichette, né sul proprio sito Internet il nome della loro regione perché potrebbero confondere i consumatori. Così un produttore di Barolo non può affermare che il suo vino viene dalle Langhe, in Piemonte. Langhe e Piemonte sono infatti nomi associati ad altrettante Doc. “Per star tranquillo - ironizza Carlo Petrini, fondatore di Slow Food - un vignaiolo su Internet si deve limitare a scrivere che la propria vigna è a Barolo, in un territorio tra il Mar Ligure e la Svizzera: perché anche la Valle d’Aosta è una Doc e guai ad usurparne il nome”. Esplora il significato del termine: “Una norma assurda - spiega Matilde Poggi, presidente della Federazione italiana dei Vignaioli indipendenti (Fivi) - esiste da tempo in tutta Europa, ma solo l’Italia ha iniziato ad applicarla. Sono già arrivate le prime multe, per migliaia di euro, proprio in Piemonte. Noi siamo ambasciatori della nostra terra. Come possiamo raccontarla al mondo senza poterla citare? Dal primo gennaio i nostri 800 associati si autodenunceranno pubblicando sui loro siti il nome delle regioni in cui si trovano le cantine, E non basterà impugneremo le sanzioni. Abbiamo chiesto al ministro Maurizio Martina di intervenire, giovedì lo incontreremo”.“Una norma assurda - spiega Matilde Poggi, presidente della Federazione italiana dei Vignaioli indipendenti (Fivi) - esiste da tempo in tutta Europa, ma solo l’Italia ha iniziato ad applicarla. Sono già arrivate le prime multe, per migliaia di euro, proprio in Piemonte. Noi siamo ambasciatori della nostra terra. Come possiamo raccontarla al mondo senza poterla citare? Dal primo gennaio i nostri 800 associati si autodenunceranno pubblicando sui loro siti il nome delle regioni in cui si trovano le cantine, E non basterà impugneremo le sanzioni. Abbiamo chiesto al ministro Maurizio Martina di intervenire, giovedì lo incontreremo”. Il divieto non riguarda solo etichette e online. La legge si occupa anche degli imballaggi e del materiale promozionale. Donatella Cinelli Colombini, vignaiola a Montalcino, sostiene che sarà una catastrofe per il turismo del vino: “Se una cantina con agriturismo, ad esempio di Cinigiano della Doc Montecucco, non può scrivere la parola Toscana nel sito e nei depliant è destinata a sparire. I clienti troveranno facilmente invece gli agriturismo dei vicini che non producono vini”. La nuova legge aggiunge malassere ad un settore già tormentato dalla burocrazia. Beppe Rinaldi, detto “Citrico”, intellettuale agricolo e barolista anarchico da cinque generazioni, è una delle vittime illustri. Autore di Barolo difficili, austeri, con carattere contadino e picchi d’eleganza, si arrabbia pensando ai 9 enti (a differenza dei 3 francesi) che controllano i produttori. Ha definito (su Winestories) l’esercito di controllori “gli ignoranti al potere”, nel senso che ignorano le regola base per fare il vino e quindi pretendono di trasformare le cantine in laboratori asettici, bloccando la fermentazione dei vini”.
Lui ha sempre miscelato le uve dei vigneti di Brunate e Le Coste per uno dei suoi Barolo, e quelle di Cannubi San Lorenzo e Ravera per un altro. Un’altra nuova legge lo vieta, consentendo di citare solo una vigna, cancellando così una tradizione secolare. Rinaldi è un tradizionalista: non possiede un telefonino, non usa il computer, la sua azienda non ha un affaccio su Internet. È intuibile la rabbia con cui ha cambiato il nome dei vini, che ora si chiamano Barolo Brunate e Barolo Tre Tine. È stato anche multato, come hanno scritti sorpresi gli americani di Wine Spectator” perché in una etichetta del suo Ruchè aveva scritto “vino rosso da tavola” anziché, come impone la norma, “vino rosso” e basta.
I vignaioli protestano contro tutto questo. Hanno l’anima descritta da Cesare Pavese in “Lavorare stanca”: “Tacere è la nostra virtù. Qualche nostro antenato deve essere stato ben solo - un gran d’uomo tra idioti o un povero folle - per insegnare ai suoi tanto silenzio”. Ma questa volta i vignaioli faranno sentire la loro voce.

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