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Corriere Della Sera

Vino e banche, un baule svela la dinastia Folonari ... Donna Eve Folonari aveva un baule segreto, pieno di carte. Quando morì, cinque anni fa, il baule venne ritrovato. Le lettere e i documenti che conteneva hanno svelato i due secoli di successi, difficoltà e risalite di una delle dinastie industriali d’Italia, i Folonari. Cuore lombardo, laico, cattolico e calvinista allo stesso tempo, con una vocazione mondiale. Cinque generazioni raccontate nel volume “I Folonari: un’antica storia di vini e banche” di Emanuela Zanotti (prefazione di Giovanni Bazoli) Mursia.
La famiglia arriva dalla Val Camonica e nel 1892 con i fratelli Francesco e Italo mette le basi a Brescia del gruppo del vino. Francesco, cattolico, guida le finanze dell’azienda, Italo, laico, è esperto di vino, lo “tratta come una cosa viva e palpitante”, scrive il nipote Alberto nel libro. Gli affari vanno subito bene, anche all’estero.
C’è bisogno di espandersi e i fratelli puntano sulla Puglia, all’epoca in ginocchio dopo che i francesi avevano bloccato l’import di vini da taglio dall’Italia. Aprono grandi cantine, da Barletta a Locorotondo, da Squinzano a San Severo. Mettono a dimora 700 ettari di vigneti. In pochi anni la produzione della Fratelli Folonari raggiunge, con cantine in tutta Italia, i 400 mila ettolitri di vino, un quarto destinato all’esportazione. I vini arrivano, si racconta nel libro, “alla corte degli zar e negli accoglienti e raffinati club edoardiani di Londra”. I Folonari acquistavano partite così imponenti d’uva che la notizia dell’arrivo di uno dei loro in una regione faceva oscillare le quotazioni. “La borsa fibrillava - racconta Ambrogio Folonari - per questo per comunicare con la ditta a Brescia si inviavano telegrammi in codice, Il sole spende a Portofino”, che corrispondeva a Pontassieve”. Dove c’era la sede di una delle aziende mitiche del vino italiano: la Chianti Ruffino, acquistata dai Folonari nel 1911. Vendeva vino in fiaschi avvolti dalla paglia. Il successo era tale che persino Papa Paolo VI, durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti, nel 1965, un calice di Chianti Ruffino, mentre Frank Sinatra si faceva fotografare con unna bottiglia dalla Toscana. Poi arrivarono altre invenzioni: il Rosatello dalla caratteristica bottiglia che ricordava il fiasco; il “vostro vino quotidiano”, bottiglie a rendere distribuite con centinaia di furgoncini. Con un impero così non ci si ferma mai: l’auto di famiglia durante la seconda guerra mondiale venne dipinta di bianco per mimetizzarsi con la neve e visitare le cantine sfuggendo ai mitragliamenti. L’ingegner Nino faceva funzionare la sua Fiat 1100 a carbonella, perché la benzina non si trovava.
Dopo il vino dei consumi di massa arrivarono, mezzo secolo fa, gli anni delle doc e delle tenute con produzioni di qualità. E ancora una volta i Folonari sono stati protagonisti. Con due caratteristiche, evidenziate da Bazoli nella prefazione: il senso di ”grande famiglia allargata” ai dipendenti; e il “culto, trasmesso di generazione in generazione, di valori, morali, civili e patriottici” tradotto in mecenatismo e impegno in banche e istituzioni. Una storia che sarebbe stato impossibile svelare senza quel baule segreto.

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