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Corriere Della Sera

Torna Ferran Adrià. E reiventa lo champagne ... Orecchie di coniglio fritte e Dom Pérignon 2005. Inizia così l’alleanza cibo-vino più sorprendente dell’anno. Da una parte Ferran Adrià, lo chef che ha rivoluzionato la cucina mondiale e che ha annunciato l’apertura di un ristorante ad Ibiza nel 2017. Dall’altra Richard Geoffrey, chef de cave di Dom Pérignon dal 1990, guru e custode della storia leggendaria iniziata dal genio di un monaco benedettino. Il patto si chiama “Decoding”. Un percorso per cercare l’essenza della creatività e far percepire Dom Pérignon come il miglior vino del mondo. Una fucina di idee nell’immenso laboratorio di 8.000 metri quadrati di Adrià a Barcellona, dove ogni giorno 60 persone inseguono genoma e potenzialità dei cibi. Siamo nel mondo delle idee. E come scrive James Doodwin, nel suo giallo storico “I cospiratori del Baklava” (Einaudi), ambientato nella Istanbul ottocentesca, “portare avanti un’idea… bè, non è facile, lo champagne finisce dopo un po’)”. Ferran Adrià, che ha iniziato la sua carriera come lavapiatti, sembra vivere immerso in questo mondo di idee. Ora l’obiettivo è nobilitare la gastronomia come scienza. “Non ho mai lavorato per i premi o per i soldi. Tutto ciò che ho fatto è dedicarmi alla creatività”, dice il cuoco che, secondo una sua autodefinizione, “cucina idee”. In una vecchia fabbrica di Barcellona trasformata per una notte nel suo palcoscenico, ha messo in scena il primo atto di “Decoding”, che lo terrà impegnato nei prossimi tre anni. Vestito di nero (come appare in un video diffuso su YouTube), tra giochi di luce e invenzioni nei piatti, Adrià assieme a Richard Geoffrey ha magnificato il nuovo “laboratorio di pensieri”. L’idea è di arrivare al cuore dello champagne Dom Pérignon, dalla bottiglia al contenuto.
“Tutti i grandi progetti nascono dal desiderio di lavorare assieme, ma è lo stimolo creativo che ci ha avvicinato”, spiega Geoffrey, che classifica gli anni a fianco di Adrià come “amicizia platonica”. “Abbiamo la responsabilità di pensare a un futuro migliore - continua Adrià - chi berrà Dom Pérignon negli anni a venire capirà la differenza”.
Adrià ha chiuso il suo celebre ristorante, El Bulli, nel 2011, con un’ultima cena a fianco di Dom Pérignon, dopo aver firmato 1.846 ricette (pubblicate in un catalogo di 7 volumi da Phaidon Press) che vengono studiate anche nelle business school come esempio di longevità creativa. Poi ha varato la Fondazione elBulli, nella quale si dedica alla ricerca, grazie anche all’aiuto di alcuni “angeli”, ovvero finanziatori, come Lavazza, Telefonica, ed ora Dom Pérignon. La storia è nota.
Nel suo ristorante Adrià aveva vinto tutto: per cinque volte era stato eletto il migliore chef al mondo. “Voglio chiudere per trasformarmi”, aveva detto. L’anno dopo la chiusura ha messo all’asta la sua cantina, 1.600 vini diversi, 10.000 bottiglie, una lista di 139 pagine (Bordeaux, Borgogna, Champagne ma anche Barolo Voerzio, Barbaresco Gaja, Brunello Case Basse e Amarone Quintarelli).
Adrià ha 52 anni, è basso, ha capelli corti e grigi, e uno sguardo che racconta fatiche e stupori. Viene da un quartiere operaio (Santa Eulalia a l’Hospitalet), il padre faceva lo stuccatore, non ha mai frequentato l’università ma ora ha quattro lauree honoris causa.
Non cucinava fuori da El Bulli da 15 anni. Lo ha fatto l’altra sera a Barcellona con una serie di 29 snack, un rituale con una serie di “bienvenida” entrato al Bulli già nel 1994. C’era qualcosa di ascetico anche nelle luci, spirali bianche che scendevano dal soffitto per illuminare le torri con lo Champagne e vari percorsi di degustazione, tra fiori al pistacchio, ostriche, foglie di mango essiccate e impalpabili, un gel di oliva-non oliva, asparagi con tartufo nero, gelato di parmigiano (e le orecchie di coniglio fritte), per soffermarsi sulla mineralità, sull’intensità e sull’armonia del vino. È il metodo che Adrià per far concentrare i commensali sui singoli cibi. Si chiama Sapiens.
Il titolo della serata era “This is not a dinner” (Questa non è una cena), “un rituale minimalista attraverso il quale si prova l’emozione Dom Pérignon nella sua assolutezza. Per far capire l’ultima annata, la 2005, in commercio dopo 9 anni di elaborazione in cantina e già quasi esaurita sul mercato (a tempo di record). Un’annata difficile con un alternarsi di periodi caldi e piovosi e una epidemia di Botrytis, una muffa grigia. “Volevano rinunciare all’annata - racconta lo chef de cave -, poi abbiamo pensato che sarebbe stato un fallimento. Di quel diluvio di settembre rimane una tensione verso la purezza, una morbidezza intensa e una presenza decisa che culmina in un finale fiorito e speziato”.
Come riuscirà Adrià a trasportare le menti e i palati sull’essenza di Dom Pérignon? “Questo non è un progetto sul cibo e sul vino - spiega il super chef -, è un progetto di decodifica, di sperimentazione e di amplificazione dell’esperienza in maniera olistica, attraverso tutti i sensi, la metodologia che si applica nel elBullilab. Mi ispiro a Anthelme Brillat-Savarin che, con “La fisiologia del gusto”, ha aperto la strada a questo tipo di riflessioni”.
Perché con Dom Pérignon? “Perché è lo champagne - dice sicuro Adrià -, è l’unico con il quale ho voluto legarmi. Abbiamo registri di pensiero compatibili, un comune credo nel potere della creatività”.

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