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Corriere Della Sera

Il Sagrantino dalle oche vignaiole ... Il vigneto dove lavorano le oche si trova in Umbria, a metà strada tra Torgiano e Montefalco. Pascolano tra i filari, come quelle selvatiche con cui viveva l’etologo Konrad Lorenz. La moglie del Premio Nobel cercava di tenerle lontane dalle aiuole fiorite, agitando un grosso ombrello rosso (lo racconta Lorenz nel libro “L’anello di Re Salomone”, Adelphi).
Roberto Di Filippo e la sorella Emma, vignaioli biologici, lasciano libere le oche: così si nutrono dell’erba che non deve più essere tagliata con le macchine. I volatili “concimano, fertilizzano e migliorano la qualità della sostanza organica potenziando l’attività microbica del suolo”, dicono i vignaioli. Meno inquinamento, quindi. Lorenz lo ha scritto 42 anni fa: “Il contadino sa qualcosa che l’intera umanità civilizzata sembra aver dimenticato: cioè che le fonti di vita del nostro pianeta non sono inesauribili”.
“La nostra è l’unica azienda vinicola al mondo che usa questo metodo - spiega Di Filippo -, altri esempi ci sono in Cina nelle coltivazioni di riso e negli Stati Uniti in quelle di cotone. Noi ci dedichiamo da 6 anni a questa tecnica”.
Ora le oche sono 200, un centinaio a ettaro, presto saranno 600. Nascono tra febbraio e marzo, vengono nutrite con mangime biologico per 45 giorni. Ad aprile sono portate tra i filari (non prima, altrimenti potrebbero danneggiare i tralci germogliati delle viti). Pascolano dalle 6 e tornano alla base da sole alle 19. Il turno di “lavoro” dura 7-10 giorni. Le erbe che gli animali non mangiano vengono poi rimosse con una piccola falciatrice.
Nel 2005 anche il governatore veneto Luca Zaia aveva usato animali come diserbatori: sei asini che rasavano le scarpate lungo le strade della provincia di Treviso. La carriera degli asinelli è stata segnata dalle polemiche e dalle denunce degli animalisti (“Sono maltrattati”) e dall’ironia. A differenza degli asini di Zaia, le oche vignaiole non vanno in pensione. “La loro carne — garantiscono i De Filippo — grazie al pascolo in vigna è eccellente perché è molto magra, ha un elevato livello di grassi omega 3 e di antiossidanti naturali”.
Il vigneto diventa così anche il luogo dell’allevamento delle oche. Il principio è quello dell’agroforestry, il sistema che prevede la convivenza di coltivazioni verdi, semine e pascoli sullo stesso terreno. I Di Filippo sono sicuri: grazie ai pennuti rasaerba si risparmiano ogni anno cento litri di carburante ad ettaro per trattori e sfalciatrici.
E i vini? “Il terreno con questa tecnica e meno compattato – assicura Roberto Di Filippo – le viti si nutrono in modo migliore, ne guadagnano soprattutto i rossi”. L’azienda lanciata nel 1971 dal salernitano Italo Di Filippo e ora gestita dai figli possiede 30 ettari di vigneto. Punta su Sagrantino, Sangiovese, Grechetto, Trebbiano, Spoletino e sulla Vernaccia nera di Cannara (un passito con le uve dell’autoctono Cornetta, usato per tradizione durante le feste pasquali). E poi su Cabernet Sauvignon, Merlot e Barbera.
Vini tradizionali e non eccessivi nella potenza, come l’Etnico, un Montefalco Sagrantino, e l’uvaggio Villa Conversino rosso, dal buon rapporto qualità-prezzo, lo si trova a 6 euro, come il bianco Grechetto. La gamma è vasta: dalle bottiglie di fascia superiore, come il Sagrantino da 25 euro (“ruvido senza mai essere semplice”, l’ha descritto Jacopo Cossater sul sito Intravino) alle bottiglie per il consumo quotidiano, che rustiche non sono. Il Farandola, ad esempio,un Trebbiano agrumato da 7 euro.

Plani Arche è invece l’azienda a linea biodinamica, con Sagrantino, Trebbiano, Vernaccia di Cannara e altro. “L’abbiamo lanciata pensando a nostra figlia Bianca Maria, 14 anni, e ai nipoti”, racconta Roberto. Dalla cantina escono ogni anno, e vengono esportate in tutto il mondo, 250 mila bottiglie. Roberto, enologo, e Emma, agronoma. sono aiutati dagli enologi Nazzareno Pieroni e Andrea Pesarese. E, in una parte dei vigneti, “dai cavalli massaggiano il terreno con gli zoccoli”, e dalle oche vignaiole che sarebbero piaciute a Konrad Lorenz.

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