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Corriere Della Sera

Il Vinitaly riparte: meno pubblico e più Cina … Il dg Mantovani: “Una fiera a Milano? Non serve”. Più eventi fuorisalone, da Verona a Bardolino … Un altro evento del vino a Milano? Non serve. Ci sono anche troppi appuntamenti del settore in Europa. Rischiamo l’overbooking”. Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere e gran burattinaio del Vinitaly (quest’anno è riuscito a far tornare a Verona nomi storici, come Gancia) risponde ad Angelo Gaja, il signore del Barbaresco. Gaja aveva proposto una Biennale milanese del vino, dedicata al business, senza la folla che preme ai banchetti. Mantovani, che si prepara a spalancare i portoni del Vinitaly il 9 aprile, risponde che la vera fiera per operatori è a Verona. Annuncia che il pubblico sarà ancora più sfoltito, grazie agli eventi in città (e in provincia). E lancia un accordo fresco fresco con la Cina. Quando ne parla, ha lo stesso spirito del giovane Marco Polo raccontato nella serie di John Fusco per Netflix, quello del viaggiatore veneziano che spiega al Gran Khan: “La vera dolcezza del vino è un gusto, dipende da chi l’assaggia”. E Mantovani è certo di convincere i cinesi che il vino migliore è quello italiano.
C’è una via dal Vinitaly alla Cina?

“Siamo tornati martedì da Chengdu. Abbiamo partecipato al Wine and Spirits Show, il fuorisalone del China Food and Drinks Fair for Wine and Spirits, arrivato all’edizione numero 93 con 3.500 espositori”.

Chi ci va?

“L’intera Cina, dalle grandi città e non solo, anche da Tibet e Mongolia. Nel fuorisalone al
Shangri - La Hotel ci sono stati 80 mila visitatori professionali”.

Quanta Italia c’era?

“Con Vinitaly International, 50 stand, 400 etichette. Con una certezza: al capodanno cinese, è stato consumato tantissimo vino italiano, molto più del passato”.

Cosa avete portato a casa? “Un’intesa con uno dei più grandi distributori di vino e liquori. Si chiama 1919: significa che la società ti consegna il vino che ordini in 19 minuti, a casa. Più ritardano più ti fanno
uno sconto”.

Cosa prevede l’intesa?

“La presentazione di 40 vini italiani a 100 loro buyer. La presenza di 1919 a OperaWine, l’evento che apre il Vinitaly. Incontri con le aziende italiane. Vogliono spingere il nostro vino, per la bontà del rapporto qualità - prezzo”.

Vinitaly sta cambiando?

“È sempre più orientato al business, lo dico anche rispondendo a Gaja. L’anno scorso, grazie agli eventi organizzati in città, abbiamo dirottato dalla fiera 30 mila persone. Non è una banalità perdere 3o mila biglietti. Quest’anno raddoppiamo gli spazi in città e a Bardolino. Condividiamo con Gaja l’idea che serva una fiera sempre più riservata agli operatori”.

Ma volete accogliere anche i non operatori.

“Esatto, non bisogna perdere il fascino del Vinitaly come polo della passione per il vino. Piace al mercato, è la nostra storia. Come lo sono le grandi degustazioni di annate lontane che organizziamo anche quest’anno dal 9 al 12 aprile. Non vogliamo organizzare una fiera fredda. Parlano i numeri: edizione 2016, 128 mila visitatori, tra questi 52 mila buyer 48 mila esteri; 28 mila gli appassionati, un pubblico attento che non ha provocato gli episodi spiacevoli del passato. Puntiamo comunque a diminuire ancora la presenza dei non professionisti”.

Cosa offrite in più ai professionisti del vino?

“Una trasformazione digitale della fiera: 3.000 buyer saranno guidati da una app che li avvisa quando si avvicinano a uno stand dei vini del concorso 5 Star e registra la loro attività. Così avremo migliaia di dati a disposizione sulle tendenze di mercato”.

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