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Corriere Della Sera

Il nuovo cru di Barolo dopo quattro secoli l’esordio del Brunella … Il lancio con un evento a Bordeaux e un libro Achille Boroli: è la nostra strada verso l’eleganza... La nascita di un nuovo cru di Barolo è per gli appassionati di vino come per uno scienziato la scoperta di una nuova forma di vita. La differenza è che, solo nell’ultimo anno, le nuove specie classificate (un orchidea colombiana con le sembianze di diavolo, un pomodoro che sanguina, una formica con un’armatura...) sono state 18 mila. Il nuovo Barolo è soltanto uno. A Castiglione Panetto, tra le Langhe ricoperte di vigne. Si chiama Brunella. Sarà presentato domenica a Bordeaux nella cantine di Malherbes, che distribuisce grandi vini in Europa (Opus One, Masseto, Solaia). È Achille Boroli il vignaiolo che ha inseguito e realizzato l’idea del Brunella. È figlio di Silvano, fino a qualche anno al vertice della casa editrice De Agostini. Questo vino “è un’eloquente espressione di collaborazione tra umanità e natura”. Lo scrive Alan Tardi, prima chef, poi giornalista di vino (anche per il New York Times) e scrittore: è l’autore del libro che accompagna il lancio del vino. Il titolo: “Brunella, la nascita di un cru di Barolo. Il vignaiolo, per Tardi, può ispirarsi a Cartesio e parafrasarlo: “Io pianto la vite, faccio il vino, lo bevo e quindi esisto”. Brunella è il nome della cascina dei Boroli (dove vive Tardi) e anche della zona. O meglio, della Menzione geografica aggiuntiva del Barolo. Ne esistono meno di duecento, i confini sono stabiliti da una legge, indicano singoli territori del grande rosso. “Brunella - racconta Achille Boroli - fino al 2010 non era considerato un cru. Le uve venivano assemblate per il nostro Barolo classico. Poi ho cercato negli archivi le prove che questa era una zona pregiata. Ho trovato un documento del 1666: era descritta come uno dei posti migliori per il vino. Nel 2013 abbiamo iniziato. Brunella è un vigneto storico ma finora non era mai apparso su un’etichetta di Barolo”. Silvano, la moglie Elena e Achille non sapevano cosa avrebbero ottenuto. Ma intuivano che da quei 2,7 ettari sulla parte alta delle collina di Villero, esposti sia a sud, sia ad est e ovest, sarebbe nato qualcosa di diverso dagli altri due Barolo di famiglia, Villero e Cerequio. Il risultato, su cui campeggia un’etichetta nera e dorata, è un Barolo morbido, setoso e seducente. Un grande esordio. “Va nella direzione che vogliamo, l’eleganza”, dice Boroli. “Emerge nel bicchiere il carattere fruttato, pur raccontando la potenza della terra da cui proviene. Ne abbiamo prodotte diecimila bottiglie, costerà 95 euro in enoteca”. Da quando Achille ha concluso gli studi di Economia a Castallanza ed è arrivato nell’azienda (primo impiego, venditore in Piemonte) tutto è cambiato. Soprattutto dal 2012. Dopo una degustazione alla Bottega del Vino di Verona. “Con un mio amico stappammo un La Tàche 1993. Mi disse che lo trovava perfetto. Chiesi: in che senso? E equilibrato, mi fa sorridere. Ho pensato che anch’io volevo fare un vino così, senza esplosioni, un Barolo che si fa bere”. Ha investito in tecnologia e cambiato metodo di lavoro. Ha venduto la cantina di Alba. “Ci siamo concentrati sul Barolo. Veniamo dal mondo dell’editoria, ma siamo tra le viti da 20 anni. Sono sempre pronto a cambiare: quando mi è stato detto, pochi mesi fa, che in cantina c’era un impercettibile odore di muffa ho speso 100 mila euro per un rivestimento interno. La cura di ogni dettaglio fa la differenza. Questo mi ha portato al Brunella”. Con lo stesso stupore di uno scienziato che scopre una nuova forma di vita.

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