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Corriere Della Sera

Ca’ del Bosco. Altre bollicine … Il fondatore Maurizio Zanella: investiremo 60 milioni in tre anni, quasi sette volte l’utile. Oggi esportiamo il 21 per cento ma voglio arrivare al 50 per cento, anche se dovessi impiegare vent’anni. La vendemmia è stata scarsa, ci attendiamo un calo della produzione di quasi un terzo, ma non ci fermeremo... Cosa fa, è impazzito? Non conosce la storia di Luigi XVI?”. Il sommelier del Four Season di Milano ammutolisce davanti alla protesta dell’illustre cliente, Maurizio Zanella, fondatore di Ca’ del Bosco. Si chiede quale sia stato l’errore nel versare il Franciacorta Cuvée Prestige, il vino più venduto (un milione di bottiglie) dalla cantina di Erbusco, nata negli anni Settanta da un bosco di castagni e un vigneto di due ettari e diventata una delle più note d’Italia. Il bicchiere a tavola è alto e stretto, una Mite. “Ma no - sbotta Zanella, 60 anni, appassionato di moto e arte -, servono bicchieri ampi e larghi, lo sappiamo dai tempi di Maria Antonietta e della coppa per lo Champagne modellata sul suo seno dal re. Il vino deve respirare, cambiamo i bicchieri. Non dobbiamo fare errori, proprio ora che sfidiamo lo Champagne”.

Qualche sfida?

“Certo, non parlo di una sfida sui numeri. I francesi, che hanno tre secoli di storia spumantistica in più, producono 320 milioni di bottiglie e noi 20. Ma la Franciacorta può diventare la valida alternativa allo Champagne. Tutti gli altri concorrenti, dal Prosecco al Cava, giocano sul prezzo, inferiore di almeno il 50%. Noi siamo sulla stessa fascia dello Champagne. Possiamo diventare la seconda denominazione al mondo per gli spumanti. Ci credo a tal punto che Ca’ del Bosco investirà nello sviluppo 60 milioni di euro nei prossimi tre anni, quasi 7 volte l’utile”.

Da dove viene questo ottimismo?

“Dai numeri. Ora Ca’ del Bosco fa ricavi per 32 milioni di euro, con un ebitda di 12,2 milioni e un utile di esercizio di 8,8 milioni, un aumento del 35,7% nel 2016 rispetto al 2015. Vendiamo all’estero bottiglie per 7 milioni di euro, in totale esportiamo il 21% della produzione”.

Poco rispetto ai grandi vini italiani, dal Barolo al Brunello di Montalcino.

“Poco, ma quasi il doppio rispetto al totale delle cantine della Franciacorta, che non superano l’11% del fatturato all’estero”.

A cosa puntate?

“Tutte denominazioni di qualità del mondo vendono almeno il 50 all’estero, ci possiamo arrivare anche in Franciacorta, magari in un decennio o due”.

Come vi state attrezzando in Ca’ del Bosco?

“Il ciclo di produzione per i nuovi vigneti dai quali ricavare la nostra Cuvée Prestige è di 8 anni. Quattro perché la vigna sia pronta, altri 3 per l’affinamento, e uno perché il vino sia disponibile in tutto il mondo. Con la Cuvée Annamaria Clementi gli anni salgono a dieci. Quindi dobbiamo agire con molto anticipo”.

Cosa le fa pensare che il mondo abbia più sete di Franciacorta?

“Giro per i migliori ristoranti, dall’America al Giappone. Nelle carte dei vini, ad eccezione degli Champagne, tutte le bottiglie con le bollicine (oddio, avevo detto che non bisognava mai usare questa parola per descrivere i vini, ma così ci capiamo) compaiono nello stesso elenco, sotto la voce Sparkling wines. L’unica denominazione che ha una propria sezione è la Franciacorta”.

Che significa?

“È il segno che stiamo creando un’identità riconoscibile. Ci aspettiamo che la domanda continui a crescere. Agli appassionati garantiamo la serietà del nostro lavoro. I vini della Franciacorta devono per legge rispettare due regole: l’affinamento minimo più lungo al mondo per uno spumante, 18 mesi, e la resa per ettaro più bassa rispetto ai concorrenti, il che significa maggiore qualità”.

Come investirete i 55 milioni?

“Aumenteremo le vigne, abbiamo acquistato 23 nuovi ettari. Uno sforzo importante, un ettaro in Franciacorta viene pagato dai 250 ai 350 mila euro. E punteremo su nuovi macchinari per la cantina”.

Che tipo di macchinari?

“Ca’ del Bosco continua a sperimentare. Abbiamo creato serbatoi volanti per il caricamento delle uve dal tetto e lo spostamento del vino senza pompe, solo con la forza di gravità. Un trattamento gentile che impreziosisce i nostri Franciacorta. Poi, già dodici anni fa, le presse funzionano con l’azoto per diminuire la solforosa nei vini che vengono movimentati senza ossigeno”.

È vero che lavate l’uva con l’acqua?

“Sì, mi hanno dal del folle visionario, nessuno al mondo lo faceva prima di noi. Abbiamo ideato una sorta di stazione termale per gli acini, che vengono sottoposti a un idromassaggio. Più l’uva è pulita, più il vino è puro”.

L’acqua non si aggiunge all’uva diluendo il succo?

“Asciughiamo con un sistema privo di aria calda le uve che arrivano da 210 ettari, tra quelli di proprietà e quelli dei conferitori. Alla fine sull’uva resta lo 0,4% di acqua, più o meno come quando la si raccoglie con la rugiada. Questo scherzetto ci è costato due milioni di euro”.

Lei è il presidente di Ca’ del Bosco con il 25%, sua sorella Emanuela possiede il 15% delle quote, il restante 60% appartiene a Santa Margherita, gruppo Zignago, della famiglia Marzotto.

“C’è sintonia con i Marzotto sulla strategia dello sviluppo. Grazie alle sinergie ci sono stati importanti passi avanti sulla gestione e sulla commercializzazione, grazie alle sinergie”.

Come inciderà sugli investimenti per la partita la cattiva vendemmia del 2017?

“Abbiamo subìto tre grandinate, le gelate, la siccità. Un anno così terribile non si ricorda dal 1947. Il calo previsto della quantità di vino è del 28%. Dovremo attingere dalle riserve per far fronte alla domanda: ogni anno produciamo 1,7 milioni di bottiglie. Ma continuiamo a investire”.

Vede il bicchiere (e non la flute) mezzo pieno, insomma.

“Non ci siamo fermati e non ci fermeremo”.

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