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Corriere Della Sera

Amerighi, l’hippy del vino “La tecnologia è il passato” … È il viticoltore dell’anno per il Gambero Rosso e ha cambiato il modo di vivere la vigna: essere bio per produrre bio. E addio mode... La biodinamica è uno stato dell’anima. È un recupero del rapporto con la terra e del rapporto uomo - vite. Così la interpreta e la vive Stefano Amerighi, classe ’74, vignaiolo dell’anno per il Gambero Rosso. Lui che ha aperto le porte della sua azienda a Cortona, dove produce syrah, a stagisti che vivono con lui la vigna nel momento della vendemmia. Con cui condivide non solo il lavoro di raccolta e le fasi di cantina ma anche e soprattutto una crescita umana. “Sono tutti figli miei - racconta - Sono tutti ragazzi tra i 20 e i 24 anni a cui chiedo subito: qual è l’ultimo vino che avete bevuto? E quello del cuore? Da lì partiamo. Venti giorni prima della vendemmia iniziamo a bere insieme, per capirci. Lavoriamo fino a 12 ore al giorno e alla sera, nel casale del Pellegrino, come l’ho chiamato, dormiamo assieme e degustiamo. Ho notato che le donne, in cantina, sono un passo avanti, mostrano oltre che naso, dedizione e serietà, sono più pronte”. Una sorta di esperienza neo - hippy in nome del bio: dal lavoro in vigna alla condivisione di cibo e stanze, un grande raduno bucolico nell’era della meccanizzazione e della tecnologia estrema. L’incontro, all’Osteria Ostinati dei Lassi, a La California (Bibbona), parte con una bolla, champagne Bereche & Fila, dai terreni mitici tra la Montagne de Reims e la Valle de la Marne. Molti vedono la biodinamica come una moda. “È percepita da alcuni produttori dice Stefano Amerighi - come una sorta di “piattaforma comunicativa”, ma in realtà quando si vuole bene alla terra, in maniera profonda ed incondizionata, non si può non comprendere che servono una visione più ampia e strumenti nuovi, che sia la biodinamica, la permacoltura, o Fukuoka (ecologia applicata, ndr). Gli Ogm, la chimica, la tecnologia rappresentano un pensiero retrogado e conservatore. In poche parole il vecchio. Il nuovo è invece una visione collettiva, sociale, che mette insieme sensibilità, colture e culture da ogni parte del globo e ne fa un enorme organismo agricolo: il pianeta terra nella sua interezza”. Il mondo del vino non soffre di un’eccessiva omologazione? “Al momento, per fare un esempio, devi fare il vino in anfora, altrimenti sei fuori. Si continua a far passare il mezzo come il fine, come un cuoco che parla delle padelle invece che del prodotto”. Dopo un assaggio di salumi, c’è anche uno speck che arriva da un produttore amico di Merano, si passa allo spoglio del Syrah 2014 in abbinamento ad asado (la carne cotta alla griglia tipica dell’Argentina). “L’Argentina la porto nel cuore, gli argentini hanno un’estrema dignità, nonostante tutto. Nel 2006, quando ci sono stato in viaggio, ero quasi tentato di mollare tutto e trasferirmi là”. E invece è tornato in Toscana, dove anche fare il vino può essere complicato. “Lo è. Abbiamo avuto una grande fortuna, quella di investimenti importanti che hanno rivitalizzato un patrimonio agricolo abbandonato continua - A Montalcino e dintorni prima c’erano solo mezzadri che lavoravano nelle crete e appena hanno potuto sono scappati a gambe levate. Gli investimenti però hanno una doppia faccia: rivitalizzano ma sono anche una condanna. Quello che ne esce è una terra di imprenditori ma non di vignaioli, come esiste in Piemonte invece, dove alcune realtà si alternano da 4-5 generazioni”. Eppure è un momento di grande splendore per la Toscana del vino. “Sì, d’altronde la luce che c’è nella nostra regione è unica e le viti hanno bisogno di sole. Anche se trovo che, a tratti, sia penalizzata la ricerca di qualità”. Amerighi versa un altro bicchiere di Syrah 2014, un’annata calda e un po’ difficile. “Questo vino però mi rispecchia più di altri, non ha l’immediatezza di certe annate ma pagherà nel tempo”. Un vino introspettivo come il suo produttore, recentemente insignito del titolo di vignaiolo dell’anno. “È stata una sorpresa, all’inizio ho accolto la notizia con l’imbarazzo e la meraviglia di chi è cresciuto secondo il principio che prima di trentacinque vendemmie (e io ne sono ben lontano), si è ragazzi e non vignaioli. Il mio lavoro coincide con una grande passione e non ho mai cercato riconoscimenti, forse anche perché, senza retorica, la bellezza del lavoro, della famiglia e del paesaggio, che vivo tutti i giorni, mi appagano. Certo però che salire sul palco del Gambero Rosso per essere premiati come viticoltore dell’anno va oltre ogni aspettativa e fierezza!”. Il toscano di Amerighi deve leggere Curzio Malaparte e fumare il sigaro omonimo. È acre, ignorante e bestemmia. “Il sigaro che preferisco è l’Antico, perché ti morde la bocca. Lascio anche i sigari ad affinare in cantina, non me ne separo quasi mai, persino ci degusto...”. Amerighi è un produttore delicato, che discorre con calma, si è adeguato ai ritmi più lenti della natura. “Ho scelto il syrah, oltre che per vocazione di terreno, perché è grazioso, fragile. In tanti mi prendono in giro perché per me è “la syrah”, al femminile. È un vitigno che non ha bisogno di essere arricchito o caricato, riempie nella sua essenzialità. E come il fratello più debole, che va seguito ed elevato in modo che diventi un protagonista assoluto”. Il nostro pranzo si conclude con un tortino caldo al cioccolato: “Sono molto goloso”, confessa. La lezione è che per produrre bio devi essere bio. “Per anni ho litigato con mio padre che aveva una condotta più “tradizionale”. Io mi sono sempre posto contro l’utilizzo della chimica. In paese ero additato e tutti criticavano mio padre per quel figlio che aveva idee folli e senza possibilità di successo. Oggi è tutto più facile, occorreva del tempo e una certa sensibilità per accogliere tale visione ed aprirsi ad un mondo bellissimo che era solo in attesa di essere scoperto”.

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