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Corriere Della Sera

I 107 migliori vini italiani (secondo “Wine Spectator”) ... Un’onda di 107 vini avvolgerà Verona. Arriverà da tutte le regioni d’Italia. Ha iniziato a formarsi 20 anni fa, come la bottiglia più attempata di OperaWine, l’evento che precede di un giorno il Vinitaly 2018. È bianca, rossa, per la prima volta anche ambrata come un “orange wine”. Osservando Verona dal finestrino di un treno, il prossimo 14 aprile sembrerà di stare in un racconto di Leonardo Sciascia, “Il mare colore del vino” (Adelphi). Un vino che “non ubriaca: si impadronisce dei pensieri, suscita antica saggezza”. OperaWine è alla settima edizione. Il vino italiano in vetrina. La selezione delle 107 bottiglie, una per cantina, è firmata da Wine Spectator. Lo scopo è riunire vignaioli e importatori. La lista è lo specchio della vitalità italiana e del gusto americano. Con molte novità. L’apertura ai vini naturali, con la Ribolla 2003 di Josko Gravner, poeta delle anfore caucasiche “senza effetti speciali”, da Oslavia, sul Collio goriziano. Dall’Irpinia il vino simbolo, il Taurasi, declinato in chiave moderna da Luigi Mojo, dell’azienda Quintodecimo, scienziato degli aromi e dei profumi, con il Vigna Grande Cerzito Riserva 2011. Da storiche aziende piemontesi ecco il Barolo Sarmassa 1988 di Marchesi di Barolo e il Barolo Bussia 2011 di Prunotto, l’azienda nata negli anni 20 sulle ceneri della cantina sociale “Ai vini delle Langhe” e ora di Marchesi Antinori. Tre nuovi ingressi veneti: i Prosecco Docg 47 di Bortolotti e il Primo Franco 2006 di Nino Franco; poi l’Acininobili 2009 di Fausto Maculan, l’inventore del Torcolato nella terra dello scrittore Meneghello. Tre anche i nuovi siciliani: il Carolina Marengo 2014 di Feudi del Pisciotto (gruppo Castellare di Castellina), dall’Etna il Vigna Barbagalli 2013 di Pietradolce e, infine, il Sangue d’oro 2015, il passito dell’attrice Carole Bouquet, sbarcata una dozzina d’anni fa a Pantelleria. Altre novità: il Sangiovese di Romagna (fonte di continue scoperte) Pruno Riserva 2012 di Drei Donà; lo Sforzato di Valtellina (un altro vino che costa fatica e arrampicate) Albareda 2013 di Mamete Prevostini; dal Salento il Salice Donna Lia 2013 di Leone de Castris, l’azienda che per prima conquistò il mercato estero con il rosato. E ancora, il mito delle Dolomiti, il San Leonardo 2011 dei marchesi Guerrieri Gonzaga; e la pattuglia toscana col Nobile di Montepulciano Il Nocio 2013 di Boscarelli, e il Tenuta di Trinoro 2012, firmato da Andrea Franchetti, barone solitario dalla avventurosa gioventù. “È aumentata la presenza dalle regioni emergenti - commenta Tom Matthews, direttore di Wine Spectator - toscane e piemontesi hanno fatto spazio, anche se sono più popolari che mai negli Usa. La selezione testimonia il costante aumento della qualità in tutta Italia”. E il caporedattore Bruce Sanderson: “Gran parte del successo dell’Italia è dovuto al boom del Prosecco, ma vini come Barolo, Barbaresco, Brunello, Chianti Classico, Nobile, Amaro-ne e i siciliani sono molto richiesti. Nonostante la scarsa vendemmia 2017, l’Italia continuerà probabilmente il suo dominio”. La presenza di vecchie annate come la 1988 del Brunello di Valdicava? “Una scelta per far conoscere i vini storici - spiega Ian D’Agata, direttore di Vinitaly Academy una chiave di lettura sulla longevità dei vini italiani che interessa molto ai collezionisti”. Cosa cambierà quest’anno alla Gran Guardia? “Più spazio per aziende e operatori - annuncia Giovanni Mantovani, dg di Veronafiere questo evento rappresenta l’intera bellezza del vino italiano”. Come un “mare colore del vino”.

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