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Corriere Economia

Alimentare Nuova terra di conquista Ma Gulli, Bauli e Campari vanno all’attacco ... Gli occhi degli investitori su un sistema che continua a dimostrare di essere anticiclico. Fatto soprattutto di pmi già alla terza generazione... Pasta Garofalo, ecco i gruppi di casa che non restano fermi... qualunque tipo di indicatore e di indagine si prenda in esame, il giudizio finale è sempre lo stesso. Le imprese del settore agro- industriale italiano “hanno dimostrato in questa lunga fase di difficoltà della nostra economia di saper reggere meglio di altre le sfide di un mercato che si è progressivamente aperto a competitori internazionali”, per usare le parole di Daniele Marini, direttore scientifico di Community media research, nell’ultimo “Monitor delle imprese agroindustriale del Nord Italia”. Lo stesso risultato si vede se si guardano le aziende dal lato della proprietà. Sono per la gran parte a controllo familiare totale, partire dalle grandi come Ferrero e Barilla (anche se c’è una fetta di consorzi maggiore che in altri settori) e dunque anche l’Osservatorio Aub certifica che “la crisi economica sta ponendo a dura prova l’intero sistema manifatturiero nazionale, mettendo a nudo le criticità del nostro Paese, ma l’industria alimentare ha mostrato dinamiche premianti rispetto all’economia nazionale”. Il settore con le performance più elevate è stato quello delle bevande, anche perché è quello che è più presente sui mercati internazionali (i prodotti più locali sono quelli da forno). Le previsioni per il primo semestre di quest’anno “sono improntate a segni tendenzialmente positivi”, dice Marini. Sarà, dunque, l’alimentare il nuovo terreno di conquista dopo il lusso? La cessione del 52% di Pasta Garofalo agli spagnoli di Ebro (che già possiedono il 25% di Riso Scotti) annunciata la scorsa settimana ha riaperto il dibattito. Il settore è certamente sotto osservazione, ma, al contrario di quanto è accaduto per esempio nella moda e nel lusso, si vedono anche attori italiani. Se è vero, per fare un esempio, che Pernigotti è stata ceduta ai turchi di Toksoz, è anche vero che Averna è entrata nel portafoglio dell’italiana Campari. Se Parmalat è divenuta francese (Lactalis) e Gancia russa (Russki Standard), Manzotin e De Rica sono rimasti in Italia con Vito Gufi (Generale conserve) così come Motta e Bistefani grazie a Bauli. La dimensione fa prevedere un ulteriore consolidamento. Se si escludono i grandi nomi da alcuni miliardi di euro di fatturato, l’agroalimentare italiano è fatto di aziende di piccole e medie dimensione. Un limite. Facile capire cosa significa nel concreto se si legge il Monitor sulle imprese del Nord: il costo delle materie prime è aumentato nel 2013 per il 61,1% delle imprese, ma la media è frutto della crescita registrata dal 66,5% delle aziende più piccole (quelle fino a 9 addetti) e solo dal 51,7% delle maggiori. Effetto, chiaramente, della maggior forza contrattuale di chi può vantare grandi volumi di vendita. Allo stesso modo, sono state le imprese più grandi a riversare più frequentemente sui consumatori l’aumento delle materie prime, mentre i piccoli “hanno mantenuto stabili i prezzi finali riducendo così i margini”. Aggregarsi diventa, insomma, una necessità. Anche per poter andare all’estero, visto che esportare resta la via principale di sviluppo. Va detto che le imprese dell’alimentare sono “di vecchia data”, hanno più spesso di altre raggiunto e superato la terza generazione. E sono anche aziende nelle quali conta molto l’esperienza del “capo”: un amministratore delegato ultracinquantenne non è un freno, è come accade in altri settori, ma il contrario “sono i leader ultracinquantenni e legati all’azienda da una maggior anzianità di servizio a conseguire una maggior redditività” (Osservatorio Aub-Aidaf, Unìcredil, Bocconi). “L’opportunità e/o la necessita di procedere a una cessione dell’azienda di famiglia - dice Marco Gabbiani, responsabile family business per UniCredit - dipende principalmente dalla presenza di successori nelle future generazioni familiari e che gli stessi siano all’altezza del compito da leader che li aspetta. Inoltre - prosegue - dipende anche dall’appetibilità dell’azienda stessa in termini dimensionali, economico/finanziari e di potenzialità prospettiche di sviluppo dei business prevalentemente a livello internazionale (di interesse per gli investitori esteri), fermo restando il fatto che l’agroalimentare è uno dei punti di forza del triade in Italy e dell’Italian lifestyle e quindi come tale di interesse”. In questo caso, però, anche l’Italia ha qualche attaccante da far scendere in campo.

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