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Corriereconomia / Corriere Della Sera

Export: La febbre asiatica del vino made in Italy ... Gli affari in cantina diventano sempre più redditizi. Il vino è diventato uno dei maggiori driver commerciali del made in Italy da esportazione. Basti pensare che dei 21 miliardi di euro di beni alimentari esportati nel 2015. la metà ha riguardato solamente tre prodotti: pasta, vino e formaggi. Cibo e vino, non a caso, si collocano al terzo posto tra i beni di esportazione che il mondo valorizza ed è disposto a pagare, come dimostra, il fatto che ormai il mercato enologico italiano valga, circa 6,4 miliardi di dollari ogni anno. Stando ai dati diffusi da Symbola, fondazione per le qualità italiane, si calcola che le vendite di vino italiano all’estero siano cresciute del 57%- negli ultimi trent’anni. E che nel 2015, in tutto il mondo, una bottiglia su cinque parlava italiano. La crescita delle vendite all’estero non solo ha tenuto il passo con l’andamento mondiale degli ultimi anni, ma è riuscita anche a fare meglio. Si tratta di un comparto che ha registrato una performance superiore a quella dei concorrenti francesi e tedeschi, ottenendo una maggiore quota nel mercato mondiale. Questi dati hanno rappresentato un acceleratore di business: il settore è diventato finanziariamente più solido: c’è chi si quota in Borsa, chi ha aperto le cantine ai fondi di investimento e chi (più semplicemente) punta alla costruzione di grandi gruppi crescendo per acquisizioni. Quando un comparto cresce tanto nelle esportazioni sembra sempre più difficile trovare nuovi mercati di espansione. Nel caso del vino (uno dei campioni italiani dell’export) l’obiettivo più semplice si chiama Asia e Cina in particolare. Non è un caso che qualche giorno fa l’Italia del vino abbia, fatto rotta verso est con le tappe di Vinitaly International a Hong Kong e in Russia (oggi a Mosca). Si parte dalla porta d’Oriente - Hong Kong - nell’ambito della International Wine and Spirits Fair, con più di 160 aziende italiane partecipanti. “La presenza delle imprese italiane in queste due trasferte è sicuramente di rilievo - afferma il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese - a dimostrazione del fatto che c’è una volontà nuova di mantenere la leadership di mercato in Russia e soprattutto di recuperare terreno in Cina, a partire dall’ex colonia britannica che rappresenta la vera e propria porta d’accesso commerciale sul grande Paese”. Il mercato cinese però è tutt’altro che semplice: i vini europei di importazione, specialmente quelli francesi e italiani che rappresentano il segmento premium, subiscono la concorrenza più economica di altri Paesi (come Cile, Australia, Sudafrica e Argentina) e dei prodotti locali, che coprono circa 1’80% del mercato. “La Cina è una grande opportunità ma non per tutti i vini italiani - spiega. Silvano Bresciani, vice presidente del Consorzio Franciacorta -. I bianchi e le bollicine fanno ancora fatica perché manca la cultura di quei vini. In compenso i nostri grandi rossi avranno grandi spazi di crescita”. Il peso dell’Italia nell’import di vino in Cina è ancora limitato (5% rispetto, per esempio, al 44% della Francia) ma è pronto a crescere grazie anche alla spinta derivante dall’accordo con Alibaba, la più grande piattaforma di ecommerce al mondo. “Credo che questa sia davvero una mossa azzeccata - continua Brescianini - l’ecommerce infatti garantisce la veridicità dei prodotti e in un mercato ad alto rischi di falsi, è un vantaggio notevole. Comunque quello cinese non è l’unico paese asiatico di riferimento per i vini italiani: noi di Franciacorta per esempio puntiamo molto sul Giappone che rappresenta il secondo mercato per l’export. Si tratta di un paese con una spiccata cultura occidentale, grande considerazione verso il made in Italy e ottime potenzialità di spesa. Gli ottimi risultati ottenuti li dobbiamo alla scelta di muoverci in gruppo, comunicando prima il territorio e poi la qualità del prodotto. Un modello riproducibile anche altrove”.

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