La prima volta che ho assaggiato Pithos Rosso, ho pensato: ecco, questo è il vino che sceglierò se dovrò esprimere l’ultimo desiderio! Pithos in greco è la “giara”, l’anfora in terracotta. L’azienda Cos, da sempre, vinifica in anfore di terracotta interrate. Una scelta condivisa fin dagli esordi nel 1980 da Giambattista Cilia, Giusto Occhipinti e Cirino Strano (Cos è l’acronimo dei loro cognomi). Siamo a Vittoria, in località Bastonaca, terre rosse e ricche di sabbie a 250 metri sul livello del mare. Qui il vento caldo che arriva dall’Africa accarezza i vigneti coltivati in biodinamica dove crescono il Nero d’Avola e il Frappato che diventeranno Pithos rosso. Dopo la fermentazione spontanea e una lunga macerazione sulle bucce, restano per sei/otto mesi in anfore da 400 litri. Affina in vasche di cemento. I primi esperimenti nel 2000; la prima bottiglia in commercio due anni dopo. È un vino intrigante, fuori da ogni convenzione. Rimanda una certa tenacia sicula. Ogni bottiglia ha una sua storia. Difficile catalogarlo in un’analisi organolettica tradizionale. Quasi sempre si trova una sferzata di frutta rossa matura e erbe selvatiche. In questo 2017 una nota minerale, “di mare”. Provato con un cous cous di verdura e pesce, ma si abbina bene con tutto. È una bottiglia che non deve mai mancare in cantina: aiuta a superare meglio le pandemie. Di vario genere. Consigliato alle donne che corrono coi lupi.
(Fiammetta Mussio)
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