C’è sempre un prima e un dopo, nella storia del vino italiano: o meglio, nelle tante storie del nostro nettare di Bacco, visti i molteplici capiscuola che in un luogo o nell’altro hanno saputo rinnovare il loro verbo enoico. Quanto sopra vale anche per l’indimenticato Cosimo Taurino, che un bel dì colse l’urgenza di farla finita con la solita solfa del vino pugliese che risultava buono soltanto per fornire materia ai più anemici vini del nord, per farne invece uno dei simboli vitivinicoli del nostro Meridione. Capace agli inizi degli anni Ottanta di far rizzare in piedi anche un maestro come Luigi Veronelli, colpito dalle prime uscite del Patriglione: un Negroamaro che avrebbe poi funto da apripista per molti giovanotti di sani principi, di belle speranze e con tanta voglia di fare. Era da sette generazioni che l’azienda produceva vino sfuso: ecco però che nel 1970 Cosimo decide di lasciare la sua professione di farmacista iniziando ad imbottigliare per proprio conto, a ragion veduta. E anche oggi che lui non c’è più, moglie, figlia e genero ne seguono le gesta con qualità costante. Il Notarpanaro fu il primo vino realizzato da Taurino, proprio nel ’70: bello quindi riassaggiarlo anche nell’edizione 2013, marcata da ricordi di prugna in confettura, spezie, macchia mediterranea e fiori appassiti, e con palato avvolgente, balsamico, morbido e dal finale piacevolmente amarognolo.
(Fabio Turchetti)
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