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Economia / La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Non ha esitato a impugnare la bandiera del ‘suo’ Sagrantino per protestare contro il tentato scippo del celebre vitigno autoctono umbro da parte dei cugini toscani. Anche a costo di creare un incidente diplomatico tra la presidente dell’Umbria Lorenzetti e il governatore toscano Martini. Marco Caprai, il giovane imprenditore che ha lanciato il più celebre autoctono umbro, appunto il Sagrantino, e il suo territorio, Montefalco, in Italia e nel mondo, non molla la presa. Il gentlemen agreement, il patto tra Regioni che ha preso corpo al Salone del Vino di Torino, e che sarà portato al più presto al tavolo della conferenza degli assessori regionali per firmare una "tregua" nel trasferimento di vitigni caratteristici di determinati territori, lo soddisfa ma solo a metà. “Parliamo tanto di autoctoni, di legame col territorio, poi siamo i primi a farci gli sgambetti. I casi di "imitazione" si moltiplicano da una regione all’altra: siamo noi i primi ad indebolire una delle poche armi che abbiamo sul mercato globale: la specificità delle nostre produzioni. La crisi non ci ha insegnato niente?”.

Come se ne esce?

“Gli autoctoni sono una grande risorsa, un serbatoio di dimensioni enormi, ma vanno accompagnati. Serve una grande operazione culturale, non tutti nascono Brunello, Barolo o Sagrantino. Per imporre certe produzioni di nicchia bisogna investire su nuovi strumenti formativi, sulla formazione di chef, camerieri, manager di ristoranti in grado di apprezzare e valorizzare i nostri vini-vitigni, di capire la differenza tra un sangiovese toscano e uno californiano. Non basta mettere un bollino su alcuni nostri ristoranti all’estero…”

Ma non è che le nostre etichette importanti costano troppo?

“I nostri vini di qualità costano meno degli altri. Un Sassicaia costa un terzo di un grande Bordeaux. Qualche volta la scarsa disponibilità di prodotto ha creato fenomeni ingiustificati di innalzamento dei prezzi: una deriva negativa che ha giocato a danno, e non a favore, di noi produttori. La verità è che bisogna investire nella formazione di quelle figure che possono proporre il prodotto nei ristoranti di fascia alta, bisogna creare sezioni italiane all’interno delle scuole di cucina americane, avvicinare i nuovi protagonisti del mercato del vino: i manager di ristoranti, i buyer delle grandi catene alberghiere. Bisogna uscire dal ghetto della ristorazione ‘etnica’ in cui siamo tuttora relegati in America, come i ristoranti indiani o cinesi. Facciamo diventare la nostra cucina internazionale come quella francese”.

Il suo listino prezzi…

“E’ fermo da tre anni. Sul mercato americano, che assorbe il 15% della mia produzione, scontiamo un dollaro che non rispecchia il valore dell’economia Usa. In Germania, il principale mercato del vino italiano, tutto il made in Italy segna il passo. Sui mercati esteri bisogna cambiare marcia: i produttori si possono associare, ma non basta. Serve un intervento diretto del sistema paese: per i francesi, quando è in ballo l’immagine nazionale, si muove il presidente della Repubblica”

Questo per i prodotti di fascia alta. Ma qui bisogna ricominciare a vendere anche il vino da tutti i giorni…

“Verissimo, comunque il consumatore a parità di disponibilità tende a scegliere i prodotti di qualità, perché il suo gusto si è affinato in questi anni. E qui entra in ballo il rapporto con la Grande distribuzione, di cui non bisogna avere paura. Non si può dire: sto solo sugli scaffali delle grandi catene o solo nelle enoteche. Bisogna trovare il giusto mix commerciale per i propri prodotti. Il 10-12% del mio fatturato lo faccio con grandi catene come Coop o Esselunga e il rapporto è soddisfacente per entrambi. Piuttosto bisogna trovare il modo di dialogare direttamente con la Gdo, così come con enoteche e ristoranti, evitando il più possibile mediazioni e passaggi commerciali. Siamo tutti chiamati ad un salto di qualità: noi produttori, il sistema distributivo, gli esercenti (ristoranti, enoteche, wine-bar), l’intero sistema paese che deve fare scelte precise. Non si possono promuovere contemporaneamente 100 tipi di vino: le iniziative a pioggia ormai sul mercato globale sono solo uno spreco di risorse”. (arretrato de "Economia - La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino del 20 novembre 2004)

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