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Finanza & Mercati

Il vino italiano cerca il brindisi col Drago… In alto i calici, si brinda alle sete della Cina. E questa volta non è sete di petrolio, elemento chiave della crescita economica del Drago. Bensì è desiderio di gustare buon vino, elemento necessario al salto di qualità del tenore di vita dei nuovi mandarini. Tanto che dalle parti del Vinitaly la rassegna veronese punto di riferimento mondiale del settore, si parla di trattative ben avviate da aziende vinicole italiane per stringere a breve joint venture con produttori cinesi. Un recente studio di Bnp Paribas segnala che “si sta verificando in Asia un importante cambiamento nel lifestyle e nelle abitudini di spesa” spiega Federico Bazzoni, responsabile mercati asiatici di Bnp Paribas Peregrine. Tanto che “secondo alcune stime – continua Bazzoni – per i prossimi due anni i consumi di vino in Asia mostreranno una crescita pari al 13% mentre i Paesi occidentali si fermeranno al 2,5%.” Eppure il Drago non è alla sua prima sbronza di vino. Tanto che tra i big mondiali nella produzione vinicola presenti sui listini, la Cina è addirittura allo stesso livello dell’Italia. Due sono le aziende quotate in Piazza Affari, Campari e Industrie Zignago, per cui tuttavia il vino è quasi un business collaterale. E due sono i nomi quotati: Dynasty e Yantai Changyu. Ma il vero mercato su cui puntare in prospettiva è quello “dei baby boomers – riprende Bazzoni – la nuova generazione di figli unici frutto della one child policy di Pechino. Adesso hanno tra i 25 e i 30 anni, hanno lavori stabili, sono stati viziati dai genitori e hanno una gran voglia di consumare”. Soprattutto hanno una gran voglia di brindare con le stesse bottiglie stappate a Roma, Milano o Parigi. Se si pensa che nel 2010 la borghesia cinese sarà costituitia da almeno 100-120 milioni di famiglie. Ricchi, giovani, residenti in una potenza economica mondiale. Avranno più di una ragione per brindare a ripetizione (arretrato del 31 marzo 2006).

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