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Finanza&mercati

La sfida del Mezzogiorno riparte da Castello Monaci ... 150 ettari di vigneto per produrre 2,5 milioni di bottiglie di vini tipici del Sud. E due nuove etichette nate nel 2006... A cinque anni dall’impostazione del progetto di Castello Monaci che ha visto la collaborazione tra i proprietari storici, la famiglia Seracca Lemmo e il Giv, il Gruppo italiano vini, gli obiettivi possono dirsi raggiunti. Oggi Castello Monaci, una tenuta di 150 ettari di vigneto, accorpati attorno al castello normanno del 1400, alle porte di Salice Salentino, in Puglia, in provincia di Lecce, produce 2,5 milioni di bottiglie con un fatturato di 6 milioni di euro.
Vini che rappresentano l’espressione tra storia e modernità, tra tradizione e innovazione e che nascono da varietà tipiche del territorio: primitivo, negroamaro e malvasia nera, affiancate da vitigni internazionali come merlot, cabernet sauvignon e syrah. Grazie alla struttura delle terre della tenuta e a una gestione accurata dei vigneti che costituiscono uno dei modelli più significativi dell’innovativa viticoltura del Salento, è stato possibile attuare una vera e propria rivoluzione qualitativa, dando vita a vini come Artas e Aiace (che ricordano la storia del territorio), Medos, Emera, Kreos, Sule, Liante e Maru che richiamano alla mente le origini greche.
Dalla vendemmia 2006 nasceranno due cru, Campure Meridio, blend di primitivo e cabernet sauvignon, e Campure Metrano, unione di negroamaro, malvasia e merlot. «È indubbio che il merito di questi risultati risieda nell’equilibrio raggiunto conservando il buono del passato unendolo ai vantaggi della modernità e dell’innovazione - commenta Emilio Pedron, amministratore delegato del Gruppo italiano vini che possiede il 60% di Castello Monaci - Nel Sud d’Italia i terreni costano meno e c’è più facilità a trovare manodopera, il clima è più favorevole all’ottimale maturazione delle uve, i vitigni sono pregiati e la materia prima è di buona qualità e quantitativamente abbondante. E poi - prosegue Pedron - le varietà del Meridione in genere, dal nero d’Avola, all’aglianico, al negroamaro rappresentano i gusti di tendenza per la produzione di vini più corposi e coloriti amati oggi dai consumatori. Per il Giv, il Sud rappresenta un modo facile e naturale per crescere, anche se è difficile quanto al nord fare qualità vera, impegnata e aderénte al territorio che ha determinato da parte nostra un adeguamento ad una diversa realtà». La scelta di allargare l’attività anche alle regioni meridionali risiede nella consapevolezza che il valore aggiunto del vino è strettamente legato al suo territorio di origine. E questo ha dato il via a una strategia legata alla terra che ha condotto all’acquisizione di aziende vitivinicole già esistenti delle quali il Gruppo detiene una partecipazione di maggioranza: nel 1999 le Tenute Rapitalà in Sicilia e, nel 2000, Castello Monaci in Puglia e Terre degli Svevi in Basilicata.
Per far questo è stato creato Giv Sud, un contenitore finanziario dal capitale sociale di 15 milioni di euro: a fine 2006 il bilancio di Giv Sud è decisamente positivo, con 6 milioni di bottiglie e un fatturato di 18 milioni di euro. I risultati sono stati ottenuti, da un lato, con investimenti importanti: a Castello Monaci 3,5 milioni di euro sono serviti a trasformare i vigneti (reimpianti, nuovi sistemi di allevamento, irrigazione a goccia) e a dotare la cantina di impianti d’avanguardia (tecnologia del freddo). Dall’altro, i risultati sono arrivati trasferendo al Sud le conoscenze maturate nelle cantine del Gruppo (Giv ha 14 aziende vitivinicole per oltre 1.200 ettari di vigneto e un fatturato che nel 2005 ha toccato i 258 milioni di euro ed è in crescita nel 2006) contando sull’esperienza di chi già vi lavorava. Non per niente il presidente di Castello Monaci è tuttora Vitantonio Seracca e il direttore è Francesco Bardi, brindisino di nascita e romano d’ adozione che, dopo anni trascorsi a dirigere Fontana Candida l’azienda laziale del Giv, è «tornato a casa»; al loro fianco l’enologo del Gruppo, Christian Scrinzi.
Una strategia della terra, questa che ha ben ripagato gli sforzi fatti: uscito nel 2001, Artas, blend di primitivo e negroamaro e massima espressione di Castello Monaci, è una perfetta sintesi di dizione e innovazione, determinata dalla capacità di lavorare al meglio frutto dell’impegno profuso in questi anni. Con i suoi profumi di tabacco, frutti neri, vaniglia e legno antico e il gusto pieno, ricco e morbido, scorrevole e di buona beva, Artas ha espresso in queste annate una crescita di qualità e di stile che è stata apprezzata dai consumatori e riconosciuta da tutte le guide dei vini.
(arretrato di Finanza&Mercati del 6 gennaio 2007) 

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