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Finanza&mercati

Il vino italiano? Il petrolio del Mediterraneo ... Vino, il petrolio del Mediterraneo? Perchè no, dicono a Torino dove si terrà dal 26 ai 29 ottobre il Salone dedicato al nettare di Bacco. Il vino può essere un indicatore della ricchezza, più e meglio della Burgernomics o del prezzo di una tazza di caffè da Starbucks perchè, questa è la tesi, esiste una relazione stretta tra pil e consumi di vino. La questione non è di poco conto visto che l’export di vino, in ascesa, permette, tra l’altro, all’Italia di pagare l’8% della bolletta petrolifera: le vendite crescono, molto probabilmente oltre i 18,5 milioni di ettolitri del 2006 (record assoluto) per un controvalore superiore ai 3,2 miliardi, una performance che ha collocato il vino al primo posto dell’agroalimentare per fatturato estero. Un boom che segue regole precise.
L’Italia in bottiglia, innanzitutto, ha avuto ottimi risultati in tutte le economie emergenti: Russia +33%, Paesi Opec +24,9%, America Latina +23,1% le economie dinamiche dell’Asia +18,1% di export. In Italia, dove il tasso di crescita è stato assai più ridotto, invece il vino è plafonato nei suoi consumi.
Secondo fattore: il cambio. Il super-euro è un freno per gli Usa ma non per l’Est, data la forza del rublo e la capacità di generare un delta positivo tra il cambio dello yuan (la moneta cinese) e il dollaro. Per non parlare del Medio Oriente, solo apparentemente non consumatore. Buona parte dell’intermediazione di vino per il mercato del sud-est asiatico passa infatti per Dubai ed è singolare notare come le rotte del greggio intersechino le rotte del vino. Terza regola: per vendere, ormai, bisogna guardare al portafoglio piuttosto che alla psicologia o ai trend di moda. Anche in Italia, meno ricca (o più povera)dove cresce voglia di vino a buon prezzo, non solo doc.

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