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Gambero Rosso

L'editoriale ... Il chiacchiericcio è ormai assordante, centinaia di esperti di vino, carne, pesce, verdure, pane, pasta, cioccolata, marmellata, miele, spezie, fusion, e l'elenco potrebbe continuare per pagine, occupano gli scaffali delle librerie con guide, libri, saggi, pamphlet, intasano gli scranni di convegni, dibattiti, fiere, mostre, cene e colazioni, assediano le tribune televisive, le trasmissioni mattutine, pomeridiane, serali e della notte più fonda. Silenzio, va in onda il gusto. Ebbene, diciamolo chiaramente: non se ne può più. Detto da chi fa editoria del settore da quindici anni e da due e mezzo anche un intero canale televisivo tematico, il lamento può sembrare assurdo se non al limite dell'interesse in atti di ufficio. E' invece è un grido di allarme rivolto ad appassionati ed esperti prima che la nausea, il senso di sazietà e la noia travolgano il nostro mondo. Rimpiangere i bei tempi andati, che di bello non avevano nulla, quando il cibo era out e il qualunquismo gastronomico imperava, non è lo scopo di questo articolo, ma ribellarsi alla stupidità e superficialità, nonché al business sulla pelle di ristoratori "ingenui", produttori "inesperti", "giornalisti" riciclati ci sembra utile e salutare. Ormai l'omologazione apparente delle pubblicazioni, dei convegni, dei dibattiti, delle degustazioni, delle rubriche ha raggiunto un livello tale che solo un grande esperto del settore può distinguere il vero dal falso, cioè la qualità dal bidone. E a questo stato di cose contribuiscono proprio coloro che più dovrebbero essere attenti, cioè ristoratori e produttori, di vino e non. I primi, inebriati dal successo dopo anni di penombra, non si perdono una cena Vip(cioè il peggio del peggio), una comparsata televisiva e un dibattito. E da ultima è esplosa la moda del libro di ricette griffate. Molti produttori di vino fanno anche di peggio: bombardano le redazioni di giornali e riviste con attestati di premi internazionali, nazionali e locali eredi del Mercurio d'oro anni Sessanta o dei premi letterari che proliferano nella provincia italica, partecipano a degustazioni che sono bivacchi, rilasciano dichiarazioni a chiunque e su qualunque tema, accreditano un'immagine caricaturale di un settore che ha tanti meriti e ha portato lustro al made in Italy.
Se poi ci spingiamo ad analizzare i "new entry", per esempio produttori ed esperti di formaggio che parlano come idioti, guru del biologico che verrebbero presi a calci da un talebano, degustatori di caffè al limite della parodia capiamo che il danno fatto nei confronti dei nuovi consumatori entusiasti e assetati di indicazioni pratiche è e sarà incalcolabile.
E' un po' come se la politica anni Settanta si fosse trasferita in cucina, ci sono i partiti e i gruppi: Slow Food è il grande Pci, con egemonia culturale sul settore e discreto numero di antipatizzanti (spesso per motivi di bottega). La Dc fa fatica a materializzarsi ma è in via di organizzazione attorno a quelli di Cl, i gruppi sono numerosi e assomigliano proprio ai gruppuscoli. Ma manca una sede comune di dibattito, mancano delle regole generali, siamo ancora al Far West. E allora, se i ministri di agricoltura, industria e turismo dessero vita agli Stati Generali della Gastronomia Italiana? Se discutessimo in modo serio sul futuro di un settore che è tra i più significativi della nostra economia? Nei prossimi numeri del Gambero Rosso daremo conto dell'accoglienza ricevuta dalla nostra proposta.

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