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Gambero Rosso

L'editoriale (di aprile) ... Eccolo qua, un numero eccezionale, il più pesante, ricco di pagine e di pubblicità di tutta la storia del Gambero Rosso. Eppure non è Natale, non si tratta di un numero pasquale perché quest'anno l'uovo lo si apre il 31 marzo e la pubblicità è in un momento di flessione. Ma come per le sfilate di moda milanesi tutto il mondo tende l'orecchio alla capitale lombarda così il mese di aprile è per il mondo del vino italiano il mese del Vinitaly, la fiera del prodotto italiano che ha più immagine nel mondo, proprio subito dopo la moda. E non è un caso se circa un anno fa un rapporto di Mediobanca identificava il comparto del vino come quello a più alta capacità di immagine evocativa, un comparto da 16.000 miliardi, un comparto destinato a ulteriore sviluppo e con grande similitudini con ciò che era stato il settore moda agli inizi degli anni Ottanta. Da allora, e sono passati poco più di 12 mesi, il vino italiano di qualità ha conquistato il primo posto per le vendite negli Usa, ha incrementato la sua crescita di immagine a livello internazionale, ha aumentato la sua espansione in Italia, specialmente nel sud.
Si, perché la domanda di vini di qualità a livello mondiale è ancora così alta da permettere l'espansione delle superfici vitate in Puglia, Sicilia, Campania, nel sud della Maremma. Il vino italiano di qualità è diventato così appetibile da indurre grandi gruppi stranieri come Mondavi ad acquistare partecipazioni italiane. Tutto bene, allora? No di certo, perché a livello internazionale prevale ancora la "lobby del cabernet&chardonnay", sia a livello commerciale che giornalistico e anche perché in sede di comunità europea accadono cose contro il vino e i prodotti italiani di qualità da far pensare che le diffidenze contro la burocrazia di Bruxelles siano sempre troppo poche. Poi c'è un altro grande e delicato problema e riguarda l'identità e il territorio. In poche parole: i vitigni autoctoni devono marcare sempre più l'identità dei nostri vini, devono permetterci di fare quel salto, sopra e oltre l'omologazione del "gusto internazionale", un'omologazione che rischia di creare una categoria di super vini, tutti buoni, tutti esauriti in cantina e sugli scaffali e tutti tragicamente uguali. E invece noi dobbiamo trasmettere attraverso i nostri vini la specificità del territorio e dei mille vitigni e dobbiamo andare orgogliosi della ricchezza che abbiamo, senza cercare di copiare dagli altri. Quella fase l'abbiamo già passata, quando si trattava di colmare un divario di duecento anni con la Francia, quando si trattava di accreditarsi a livello internazionale, tra i giornalisti inglesi e americani del "cabernet & chardonnay". Oggi dobbiamo trasmettere la nostra identità, lavorare sui vini in modo diverso, facendone venire fuori l'anima, l'unicità di un Montepulciano d'Abruzzo, di un Sagrantino, di un Nero d'Avola, di un Falerno del Massico, di un Aglianico del Vulture, tanto per citarne alcuni fra i molti, accanto e insieme ai giganti Nebbiolo e Sangiovese.

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