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How To Spend It / Il Sole 24 Ore

Bollicine all’asta ... Investire nello champagne? Conviene considerando che è il settore più rivalutato degli ultimi 40 anni. Ma attenzione: il vino non è come un’azione in Borsa, perché due bottiglie della stessa annata non saranno mai uguali. Il consiglio è comprare oggi le grandi cuvée millesimate e metterle da parte... Il 21 settembre 2012 è una data che gli appassionati di champagne non dimenticheranno facilmente. Quel giorno, nella sale della casa d’aste Acker Merrall & Condit a Hong Kong, è stato sancito definitivamente l’ingresso delle prestigiose bolle francesi nell’Olimpo del collezionismo mondiale. I battitori della società americana hanno faticato a mantenere l’aplomb, mentre i rilanci dei collezionisti asiatici salivano vertiginosamente, per aggiudicarsi un pezzo della “più grande collezione al mondo di champagne’: Ovvero, mille lotti di bottiglie rarissime, uscite dalla cantina di Robert Rosania, immobiliarista newyorkese poco più che quarantenne. E protagonista di una storia molto americana: nato in una famiglia di origini italiane, dove “era normale fare assaggiare il vino anche ai bambini”, tra un’operazione e l’altra, si innamora dello champagne (ma anche di grandi Bordeaux e Borgogna) e in soli dieci anni crea quella che John Kapon, ceo di Acker Merrail ha definito una “collezione incomparabile”: A Hong Kong è andato all’asta il meglio, e sono stati stabiliti dodici nuovi record: il lotto principale erano sei bottiglie di Salon 1959 battute a 28.385 dollari. Ma in cima ai desideri c’era solo il Krug Blanc de Blancs 1966, di cui sono state prodotte appena 500 bottiglie. Talmente raro che, dice Rosania, Oliver Krug, sesta generazione della storica famiglia, lo ha degustato solo quando l’immobiliarista ha aperto una bottiglia in sua compagnia, “qualche armo fa, eravamo insieme a St Moritz”. All’asta di Hong Kong è stato aggiudicato a 13.877 dollari. Conviene investire nello champagne? Kapon non ha dubbi: “Sì. L’importante è focalizzarsi sui marchi più prestigiosi, grandi maison equiparabii ai brand del lusso internazionale. Il merito è di Robert Rosania, che ha creato una domanda per gli champagne da invecchiamento e ha fatto esplodere il mercato”. La bollicina, incalza Andrea Grignaffini, editor di Spirito di vino, è una metafora della vita: “Quando ha un flusso forte, impetuoso, mostra l’esuberanza giovanile, con il passare degli anni si dilata, rallenta, è meno vertiginosa. Con la terziarizzazione assume maggiore capacità aromatica: nella bollicina agée, l’aroma che era crosta di pane evolve in crosta di panettone”. Per qualcuno sono come cyborg: vecchi-giovani. I collezionisti, ben rappresentati anche in Italia, hanno una venerazione per le vecchie annate. “In cantina ho 3 mila bottiglie e la metà sono champagne”, racconta Gaetano Verrigni, produttore di pasta artigianale, molto apprezzata dai grandi chef. “Non mi considero un collezionista, ma un appassionato: compro i vini per beni. Non venderei mai una delle mie bottiglie, né acquisterei quote di fondi d’investimento specializzati nel vino. I miei campioni sono dei Philipponat degli anni Cinquanta e i Salon fino all’88. Eccezionale il Salon Millesime 1955 (circa 3 mila euro), ma la passione vera è Krug: la bottiglia più preziosa è una Magnum Collection ‘64, me ne è rimasta solo una”. Tutti concordano su un unico principio: in questo campo vince la pratica. “A vent’anni non si può essere un esperto, per la semplice ragione che non si può aver bevuto 10 mila bottiglie”, sentenzia Orazio Vagnozzi, partner della società di consulenza Krug e appassionato di vini. Vagnozzi 10 mila bottiglie le ha in cantina, da cui pesca per le sue leggendarie verticali. In una delle ultime, ha portato a Roma al tavolo di Heinz Beck, lo chef tristellato della Pergola all’Hilton, undici Dom Pérignon. Risalendo in una vertigine di eccellenza enologica dal ‘96 al ‘47. La vera grandezza sta nella capacità di coniugare perfezione e grandi numeri. “Dom Pérignon produce ogni armo cinque milioni di bottiglie e Richard Geoffroy, il suo celebre chef de cave, tende a raggiungere l’equilibrio dei contrari”, ricorda Vagnozzi.? “Ora lavora sulle Plénitude, privilegiati momenti di maturazione per fasi: per arrivare alla Première sono necessari almeno sette anni di permanenza sui lieviti; la Deuxième (prima si chiamava Oenotéque) si raggiunge dopo almeno 16 anni sui lieviti, e rappresenta, secondo Richard, l’età dell’energia. Per la Troisième bisogna attendere 25-35 anni”. Per andare sul sicuro bisogna affidarsi alle grandi maison, quindi: Roederer, Bollinger, Poi Roger, oltre a quelle già citate. E ricordarsi che la più grande annata recente è il ‘96. Ma non varino dimenticati piccoli produttori di alto livello. “Come André Beaufort, decisamente intrigante, nonostante le note rustiche, o Georges Lavai”, suggerisce Grignaffini. “Le grandi case hanno stabilità e regolarità”, conferma Andrea Petraroli, sommelier al Del Cambio di Torino. “A volte però è interessante valorizzare marchi meno noti, come Henry Giraud che ha un ottimo Brut 20050 Egly-Ouriet, che produce un blanc de noirs di solo Pinot Meunier”. Dalla cantina con 85 mila bottiglie dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze, dove gli appassionati vanno a cercare le etichette più rare accumulate da Giorgio Pinchiorri, Alessandro Tomberli avverte: le annate vecchie vanno acquistate esclusivamente dalle maison, che le mettono in commercio anche dopo vent’anni, con sboccatura recente. Conservare a casa uno champagne acquistato vent’anni fa è un rischio. Potrebbe aver perso il perlage, anche se non necessariamente è un difetto. Per qualcuno, tuttavia, collezionare vino non ha senso. “I vini sono fatti per essere bevuti”, afferma Enzo Vizzari, appassionato di vini francesi e direttore delle Guide de l’Espresso. “Chi colleziona bottiglie come francobolli è nemico del vino”. Ciò non significa astenersi dagli acquisti. “Si compra per conservare e stappare al momento giusto. Attenzione alle annate, ma ancor più ai produttori. Dom Pérignon Oenothéque ‘66 e Salon ‘61 sono dei must, eccellente anche Charles Heidsieck 1983, tra i più giovani Bruno Paillard Nec PIus Ultra del ‘96. Poi ci sono le rarità: ho assaggiato un Magnum Veuve Ciicquot 1949 che era ancora integro, davvero perfetto”. E sempre un Veuve Clicquot dei primi dell’Ottocento, recuperato in un relitto al largo delle isole Aland in Finlandia, ha battuto il record mondiale d’asta per lo champagne: 45 mila dollari da Acker Merrail. Non esiste un Vangelo del vino, continua Vizzari, ma alcune regole da seguire sì. Conservare in cantina, mai sopra i 16 gradi, degustare freddo e non ghiacciato e, soprattutto, non seguire i francesi nella pratica di berlo nella flute. Torna la domanda iniziale: conviene collezionare champagne? “È un mercato in crescita e con una buona diversificazione”, spiega Christian Roger, al timone di Vino e Finanza, società di consulenza e gestione di investimenti in vino. “Non è certo come la Borsa, non può essere paragonato a un’azione, perché non segue gli stessi parametri. Anche se molti studi dimostrano che non ha rivali quanto a rivalutazione negli ultimi 40 anni”. Qualche esempio. Un Sassiccaia 1985 vent’anni fa costava 250 mila lire, oggi vale oltre mille euro. I grandi Borgogna di Romanée Conti all’inizio del Duemila valevano 3 mila euro, oggi non meno di 10 mila. “Ma il vino non sarà mai un prodotto finanziario”, conclude. “Due azioni Fiat hanno lo stesso valore, due bottiglie della stessa annata non saranno mai uguali. Il valore del vino è dato dal fatto che, alla fine, c’è qualcuno che lo stappa”. In definitiva come scegliere? Seguendo il proprio palato. “Lo champagne è come Mozart: arriva a tutti, anche se dietro ha un’estrema complessità. Una vecchia bottiglia è perfetta sui risotti e sul fitto”, dichiara Vagnozzi. O sulla pizza, azzarda Verrigni che consiglia di partire subito con l’acquisto delle bottiglie migliori. “Comprare tanto, di tutte le annate e fidarsi del proprio gusto”. Kapon concorda: “Compra le grandi cuvée millesimate dei marchi più importanti, metti da parte quante più casse puoi. Sarà impossibile non stappare qualcuna di queste bottiglie. Quelle che restano, acquistano qualità e valore”. Secondo gli esperti, in una cantina non dovrebbero mancare: un Louis Roederer Cristal Millesime 1990 (circa 600 euro) e un Cri stai Rosé 1996 (350 euro), due Krug vintage, 1962 (circa 1.900 euro) e 1973 (1.200 euro) e un Clos d’Ambonnay 1996 (circa 2.400 euro), il Dom Pérignon Oenotheque 1959 e 1962 (intorno ai 2.600 euro), il Bollinger Vieiiles Vigues Francaises 1996 (1.000 euro), il Salon Millesime 1996 (450 euro). Se Acker Merrall non ha ancora messo all’asta nessun metodo classico italiano non significa che le etichette francesi hanno il primato assoluto. “I Giulio Ferrari Riserva del Fondatore ‘92-’93 e ‘94 (magari della famosa cassetta da 6, della collezione privata) hanno una grande vitalità”, dice Grignaffini. Così come l’Anna Maria Clementi 2003 Rosé di Cà del Bosco e il Bellavista Extra Brut Riserva Vittorio Moretti 2006. Bolle mature che si conciliano anche con i cibi esotici”. E se proprio volete sbaragliare le carte mettetevi in cantina un Lambrusco con fermentazione naturale in bottiglia, “come il Rosé Brut Riserva Trentasei 2010 di Cantine della Volta”. Forse non sarà un investimento, ma provateli dopo sette o Otto anni: il vostro palato ringrazierà.

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