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Il Giornale

L’Italia del vino corre forte: ecco i nostri assaggi migliori … Conferme, sorprese e follie tra i padiglioni veronesi Dall’Alto Adige alla Sicilia 24 etichette da provare… Il vino è tornato al centro del villaggio. L’edizione numero 55 del Vinitaly che si è svolta nei giorni scorsi alla fiera di Verona ha dimostrato che anche la politica considera il made in Italy un asset fondamentale del sistema Paese. Ci voleva tanto? E anche tra i corridoi affollati dei padiglioni veronesi si respirava un'aria di ottimismo, di rinascita anche grazie al fatto che si è trattato del primo vero Vinitaly full optional dopo lo stop del Covid e il timido ritorno del 2022. Ma io qui parlo di calici pieni (o mezzo pieni), di profumi, di gusti, di emozioni. E vi racconto i miei assaggi preferiti dei quattro giorni veronesi. In mezzo c’è di tutto per prezzo, provenienza geografica e umnanità (fattore che per me è sempre fatidico). La suddivisione che abbiamo scelto è però per tipologia. Buone bevute. Non si può che cominciare con qualche buona bolla. Partiamo per dovere di ospitalità con un Prosecco, ma uno dei mano “proseccosi”: il Giustino B di Ruggeri, un Valdobbiadene docg Superiore millesimato (l’annata è la 2021), nobile e armonioso, con sentori agrumati e assai fini. Una novità è il Trentodoc Michei di Hofstätter, che sta per debuttare sul mercato dopo 48 mesi si affinamento, per ora in 6mila bottiglie ma tra qualche anno dovrebbe arrivare a quattro volte tanto. Uno Chardonnay in purezza luminoso come un diamante. E restando in Trentino ecco il Blauen 2015 Moser, la cantina dell’ex ciclista Francesco: un 100 per cento Pinot noir da vigne a pergola in Val di Cembra che fa 72 mesi sui lieviti, nascendo già grande. Partiamo dall’Alto Adige, che mi ha offerto due assaggi davvero notevoli: il Riesling 2022 della linea Fallwind di San Michele Appiano, una delle tante cantine sociali “magiche” di quelle terra, un vino sottile, nervoso, minerale (ma anche gli altri bianchi dell’azienda sono rimarchevoli); e il Pinot Bianco Vorberg 2020 di Terlan, che fa dodici mesi sui lieviti in botti di legno e ne esce ricco di aromi fruttati e di pietra focaia e persistente in bocca. Spostiamoci in Friuli con il Flôr 2022 di Aganis, il progetto friulano dei fratelli Simone, Alessio e Fabio Cecchetto di Ca' di Rajo, una Malvasia di grande piacevolezza e persistenza, non solo aromatica. Restiamo in zona con il 150 Lison Classico docg di Stajnbech, dove la giovane enologa Rebecca Valent (che a questa parola ha dedicato un suo vino) propone una versione convincente di questo vino troppo trascurato, dal profumo di tiglio e dalla bocca piacevolmente ammandorlata. Infine andiamo in Sicilia con Baglio di Pianetto, l’azienda bio del conte Paolo Marzotto che propone un bianco a base Viognier Riserva da un cru della tenuta Pianetto del Palermitano, il Viafrancia 2022, che fa nove mesi di barrique di primo e secondo passag gio e ne esce tropicale e fresco. Due etichette interessanti: un classico il Villa Gemma Cerasuolo d’Abruzzo 2022 di Masciarelli, blasonata azienda abruzzese che qui propone un Montepulciano d’Abruzzo vinificato in bianco e con contatto per 24 ore sulle bucce. Color buccia di cipolla per un rosato caratteriale, più rosso che bianco. Nuovissimo invece il Serra Ferdinandea Rosato 2022, un nuovo progetto in cui è coinvolta la famiglia Planeta che nasce in una magnifica vigna tra Sciacca e Sambuca di Sicilia. Un 70 per cento Nero d’Avola e 30 Syrah davvero intrigante. E la sezione più ricca. Partiamo dalla Toscana, anzi dalle Toscane. Quella maremmana di Pakravan Papi, azienda emergente che nel Gabbriccio (ho assaggiato il 2017) un Sangiovese elegante e balsamico con spezie in evidenza e un vivificante caffè. Quella blasonata di Caparzo, con il Brunello di Montalcino Vigna La Casa 2018, un vero gioiello di profondità e austerità. Quella lussuosa di Ipsus, un piccolo ma ambizioso progetto di Mazzei, un grande Sangiovese di media altitudine che fa sedici microvinificazione ed è sontuoso sia nell'annata 2018 sia nella 2016. Sempre da Mazzei ecco il Castello di Fonterutoli 2020, una delle tre Gran Selezioni aziendali di Chianti Classico. Potenza e freschezza. Poi un giro dell’Italia. La Sicilia del Sublime 2020, un Etna Rosso doc dell’azienda Ballasanti, guidata dalla strana coppia formata da Manuela Seminara, siciliana innamorata delle sue origini, e da Fabio Gualandris, astrofisico bergamasco; un vino scattante e profondo, con naso speziato e balsamico e bocca graffiante e non facilmente dimenticabile. In Veneto ecco Le Casette, un Valpolicella Ripasso della Cantina Negrar, un po’ come andare alle origini di un territorio magnifico. Sempre in Veneto un progetto nuovo, il Cabernet Sauvignon Fear No Dark della sempre più innovativa Pasqua Vini rivelato nel corso di una “lunare” serata alle Gallerie Mercatali proprio di fronte alla fiera veronese, dominato dal grande satellite dell'installazione “Luna Somnium” del collettivo artistico Fuse*. Un salto in Alto Adeige per godere del Pinot Nero Trattmann 2020 di Girlan, da uve che provengono dalle migliori vigne della stessa Girlan e di Mazzon, una vera scudisciata di nerbo. Quindi l’Abruzzo di Torre Zambra, marchio della famiglia De Cerchio, con il Montepulciano d’Abruzzo Villa Magna 2020 che fa sei mesi in cemento e uno in legno ed è piacevolmente temperamentoso. Infine tre etichette piemontesi, tutte rimarchevoli, ciascuna a suo modo. Non si sbaglia con il Barolo Bussia Riserva 2017 dell’azienda Livia Fontana, il cui figlio Michele, enologo, lavora con minuzia e amore dell’espressione territoriale a grandi esemplari. Sempre in Piemonte mi sono innamorato di un piccolo produttore del Roero (9 ettari, 35mila bottiglie), Chiesa, che ha nel Roero Rosso Monfriggio 2016 un sorprendente esempio di come questa tipologia considerata minore possa invece dare grandi risultati quando è tratta con cura e amore: aromi primari di sottobosco e piccoli fiori e terziari di cuoio, cioccolato, tabacco, e una bocca elegante, sapida, avvolgente. Non ci vuole l’oroscopo per prevedere una notevole longevità. Infine l’azienda Mura Mura, creata da Federico Grom e Guido Martinetti, che all’inizio del millennio crearono il fenomeno Grom: amanti del bello e del buono producono tra l’altro il Garibaldi 2020, un Grignolino d’Asti doc dal tannino deciso ma composto e un temperamento commendevole. Inclassificabili ma buoni: l’Asolo Prosecco Superore docg sui lieviti Montelvini (il nome Brutto è tutto un programma) è un rifermentato in bottiglia che squaderna ogni idea di Prosecco. La Clara è un vino ancestrale biologico prodotto da una base di Trebbiano Toscano e dedicato alla madre della famiglia Pacelli, che cura una bella tenuta in quel di Malvito, nella Calabria Settentrionale. Impertinente e cristallino come la donna a cui deve il nome. Da segnalare anche il successo del loro vino simbolo, lo Zoe, una mia fissazione: un Metodo Classico a base Riesling che di recente ha vinto la medaglia d’oro al Concours de Bruxelles, probabilmente il più prestigioso al mondo.

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