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Il Giornale

Bicchiere mezzo vuoto: il Vinitaly tenterà di riempirlo ... E’ l’edizione numero 38 del Vinitaly quella che stamane verrà inaugurata dal ministro Gianni Alemanno, l’ennesima edizione dei record per la massima e limitatissima fiera del vino italiano (e non). Gli espositori sono circa quattromila dei quali trecento stranieri per un totale di trenta nazioni. Alcune siamo soliti abbinarle al piacere del buon bere, la Francia su tutte ma anche Spagna e Stati Uniti e con loro quelli che ancora consideriamo emergenti ma che ormai si sono irrobustiti: Argentina e Australia, Cile e Sud Africa, il Portogallo. Per arrivare a quota trenta però bisogna scendere nel girone dell’inimmaginabile, un po’ per ignoranza – chi sa che il vino arriva da Georgia e vallate limitrofe?- e un po’ perché siamo soliti abbinare determinati popoli ad altre bevande, tipo Germania e Austria alla birra (e non a delicati e ricchi bianchi) così come la Gran Bretagna che ha delle micro produzioni vinicole che non incideranno sull’economia di Londra ma che, comunque, suscitano curiosità un po’ come quando noi italiani proviamo a giocare a cricket a polo. E ancora Grecia, che vuole dimostrare di non essere solo retsina, l’impossibile bianco resinato, India, Olanda Turchia, Moldova… e ancora non spremono i loro chicchi, almeno non per poi esportarli nel resto del mondo, Cina e Giappone.
Però anche se è un Vinitaly da record, rinnovatosi nelle strutture senza attendere il debutto a giugno a Milano di MiWine e prossimamente del nuovo polo fieristico, la facciata dorata non nasconde la crisi che ha investito il vino tricolore. Basterebbe annotarsi le voci di spesa per una bottiglia bevuta al ristorante in cui è articolato il sondaggio dell’home page del sito della fiera: meno di 5 euro, tra i 5 e i 10 euro, tra i 10 e i 20 euro, oltre i 20euro. Io ho cliccato “più di 20 euro” e, per il mestiere che faccio sono di certo un’eccezione, ma qual è il locale dove per una bottiglia spendi meno di 10 euro? Già entro 20 è dura anche nelle osterie ... ma guai parlare di prezzi stellari. La parola d’ordine è abbassare i listini e allora ecco i produttori parlare di rapporto qualità-prezzo quando fino all’anno scorso era ancora tutto in inno al supervino, agli uvaggi miracolosi, alle contrazioni muscolose e “dopate” buone per stupire, quasi mai per godere un momento conviviale. E ora le cantine, siano esse i depositi delle aziende piuttosto che i sotterranei dei ristoranti, sono piene di giacenze. In Italia sono 810.000 i produttori, per giro di affari attorno agli 8 miliardi di euro. E’ una signora cifra, peccato però che non basta avere sfondato in Russia - i nuovi ricchi devono Toscana e Piemonte - 54% per il nostro export, per evitare una picchiata all’ingiù. Dal 2002 al 2003 le esportazioni sono scese dal 16,6%& in volume e del 5 in valore (-9% i francesi). Gli Stati Uniti ci amano sempre (mentre hanno penalizzato i francesi per via del mancato appoggio militare in Irak) e gli inglesi pure, invece i tedeschi ci hanno voltato le spalle: - 25%. E noi stessi, noi italiani, beviamo meno, furono 862 milioni di litri di vino consumato nel 2002, l’anno dopo 857. Si potrebbe pensare che abbiamo meno schifezze di concederci più qualità, peccato che Doc e Docg, i piani alti della qualità, abbiano registrato un calo del 6%.
Il problema, paradossale, è nella nostra storia nelle nostra cultura e nella varietà dei nostri vitigni. Abbiamo tutto e in certi frangenti è come avere nulla. Se il movimento del vino no-global, il cosiddetto Critical Wine, forte dell’appoggio di Gino Veronelli, celebrerà il suo anti-Vinitaly sabato e domenica sul lungadige Ammiraglio, se abbiamo riscoperto i vini nelle anfore di terracotta grazie a personaggi come Josko Gravner e Stanislao Radikon, se le Triple A, ovvero le realtà biodinamiche riunite in una villa nel Vicentino, ci ricordano quanto è importante il rapporto con la terra, di certo sono sferette che non gonfiano il fatturato globale.
Il nuovo mondo invece, vedi Australia e Cile, si può permettere di proporre il vino che va di più senza tanto stare la a disquisire su vitigni autoctoni e vitigni internazionali. Tira lo chardonnay? Vai con lo chardonnay. Esplode la syrahmania? E syrah sia e tanti saluti a terrori, tipicità e mito del contadino. Il motivo? Il nostro vino quotidiano costa troppo rispetto a quello extra Ue e quello nobile, vedi i SuperTuscans (-20% quelli battuti all’asta), non hanno ancora il fascino miliardario degli chateau francesi. Il bicchiere è quasi vuoto.

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