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Il Giornale

La parola ai lettori. Il club del Tavernello nemico della retorica… Caro Granzotto, il sottoscritto, riconoscendosi in pieno nei nobili motivi che hanno portato alla fondazione del Club, chiede rispettosamente di potersi associare in qualità di socio sostenitore. Però, mi lascia spendere una buona parola a favore dei vari Gamberi Rossi? E qui dobbiamo parlare un secondo della Francia, e della sua storica abilità a fare un ottimo marketing dei suoi prodotti, già da molto tempo prima che la parola marketing esistesse. La loro moda, i loro vini, i loro formaggi, persino le loro acque minerali hanno dominato la scena internazionale per oltre un secolo. Adesso sta finendo, non crede. La moda mondiale si riconosce in Milano, i nostri stilisti spopolano, nel mondo si beve San Pellegrino e non più Terrier, il formaggio più imitato in assoluto è il Parmigiano, e il Gorgonzola lo trovi dappertutto. Bene, perché allora non lasciare che anche nel campo del vino ci si muova nella stessa direzione, pur se questo dovesse comportare qualche risibili acrobazia gusto-linguistica? Gli americani hanno i dollari, e anche se un po’ svalutati sono sempre meglio di questi euretti di trista origine zapaprodinottiana. Gli americani si stanno da anni appassionando ai nostri vini, specialmente toscani e impazziscono per un Brunello, un Sassicaia, e compagnia bella. In conclusione, caro Granzotto, noi andiamo avanti con il nostro Tavernello, ma su lasciamo questi personaggi a discettare di sentori di vergella bresciana e retrogusti di pelo di cane bagnato, dopotutto pecunia on otet, non le pare?

Ohibò, caro Parodi. Come le è venuta l’idea che il Club del Tavernello remi contro. Tutto il contrario: ci piace bere bene e ci sono grandemente simpatici i produttori di buon vino. che vorremmo conquistassero, come pare stiano facendo, un mercato via l’altro e magari un domani anche quelli dove il vino è tabù (quando il Diluvio universale dimostrò al di là di ogni ragionevole dubbio, che i bevitori di acqua sono malvagi). Remare contro! Nel mio piccolo credo di contribuire in misura non irrilevante alal prosperità di almeno un paio di cantine e altrettante botteghe di vino & liquori. Ma non ho mai assunto il prezzo di una bottiglia o le manfrine dell’esperto di turno come criterio di giudizio per stabilire se un vino mi piace o non mi piace (ovvero se per me è buono o non è buono). E poi, lasciamo parlare un addetto ai lavori come Paolo Massobrio, il quale è un’autorità, autore di guide e di sussidiari gastronomici (lo stimo anche e soprattutto perché ha pubblicato un ricettario unicamente dedicato agli avanzi (“Avanzi d’autore”, Comunica Edizioni). Gli avanzi un tempo non avanzavano e basta sfogliare il Pellegrino Artusi per rendersi conto in quante guise l’Italietta li utilizzava in cucina. Leo Longanesi titolò un suo bel libro “Ci laveranno le vecchie zie”, cioè quelle che sapevano cucinare in decine di modi l’avanzo del lesso. Oggidì gli avanzi avanzano e finiscono nella pattumiera, segno di cafonesco sperpero e sciatteria alimentare. Quella che autorizza il grande chef, lo chef pluristellato che manda in visibilio i seguaci di Carlin Petrini, a consigliare di mettere a bollire un paio di aragoste e quando sono ben cotte di gettarle via utilizzando la sola acqua di cottura per cucinarvi, mettiamo, degli gnocchi di rape rosse. Ho perso il filo. Dicevo? Ah, sì, dicevo di Massobro che nella sua rubrica Papillon prende atto della costituzione del Club del Tavernello dicendo che non è ostile al buon vino, ma alla retorica sul buon vino. Detto da uno che milita nella controparte, non è roba da poco. Chissà, forse un giorno potremmo aprire un tavolo coi gamberirossi e cercare oltre che una bela sfilza di valori condivisi anche un percorso comune (arretrato del 6 novembre 2005).

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