02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Il / Il Sole 24 Ore

Le mille bolle rosa ... Sfumature cipria, rame o corallo, l’importante è che sia colorato. Fiumi di champagne rosé nei calici di mezzo mondo: era un vezzo, è diventato una moda dilagante... Tendenza, moda? Forse, anzi no. Chi afferma una sua creazione recente dice un falso (ingenuamente) storico. Le bollicine rosé non sono un’invenzione degli anni Duemila, ma sono state prodotte molto, molto tempo fa. E in questo caso non è responsabile quel frate beone chiamato Dom Perignon, ma una signora, assai famosa anch’essa per aver creato la fortuna dello champagne: Madame Clicquot.
Correva l’anno 1804, secondo alcuni 1810, per altri addirittura il 1775. A quanto pare, l’idea nacque per accompagnare un pranzo a base di frutta e dolci. Nostra signora dello champagne ordinò ai suoi cantinieri di mettere a punto bollicine che avessero potuto ben accompagnare quei bocconi così leggeri. Madame Clicquot non solo era un’imprenditrice con i nocchi, ma conosceva i segreti della cantina al punto che inventò per prima, con la collaborazione dello chef de cave Antoine Muller, il remuage (movimento delle bottiglie) sulle pupitres (cavalletti): un metodo per rendere perfettamente limpidi gli champagne prima di spedirli ai clienti.
Di champagne sotto i ponti ne è passato, ma sono state soprattutto bollicine bianche o gialle, mentre quelle tinte di rosa sono state dimenticate per quasi due secoli. Forse alcune Maisons de champagne hanno continuato a sperimentare nel chiuso delle cave, ma il mercato non ha segnalato presenze importanti di rosé fino agli anni 60-70 quando hanno fatto capolino sulle tavole degli appassionati Dom Perignon millesimati 1959, 1966 (storico il 1978), tutti firmati da Richard Geoffroy, Rosé Riserve 1959,1961 Veuve Clicquot, cui hanno fatto seguito, con produttori first class quali Ruinart, Krug, Billecart-Salmon e, nel tempo, Bruno Paillard con il suo affermato Première cuvée.
Sono stati gli anni 70 l’inizio delle bollicine rosé dell’era moderna. E proprio a quell’epoca, 1972, risale il primo spumante rosé, metodo classico italiano, da parte dell’azienda Ferrari di Trento. Queste prime bottiglie sono state prodotte da Mauro Lunelli, uno dei patron nonché enologo dell’azienda Ferrari, dopo un viaggio in Francia ricco di degustazioni di champagne per festeggiare il suo matrimonio.
In Francia alla fine degli anni 70 le bollicine rosa segnavano un 2,5 per cento di vendita rispetto al totale dello champagne; sono passate al 7 nel 2007, toccano il 10 quando si guarda alle esportazioni, con in testa la Gran Bretagna, poi gli Stati Uniti e il Giappone. Perché il consumo è aumentato negli ultimi anni? C’è chi sostiene essere stata la moda, che dagli anni 80 in poi ha imposto i suoi stili di consumo ovunque. Il rosé ha conquistato le sfilate parigine per merito dello stilista Karl Lagerfeld, autore di un hook rosé per Dom Perignon e di una campagna con Èva Herzigova in cui ha definito queste bollicine - citando T.S. Eliot - “la contemporaneità del passato”.
Rosé non è un minus, ma una diversità rispetto al bianco e al rosso. Rosé non è un mezzo vino, ma un altro vino. Forse il mondo della moda è stato attratto dalle infinite nuance delle bollicine rosé: oleandro, rosa selvatica, corallo, pelle di bambino, rame, cipria. Forse il mondo dei gourmet è stato calamitato dalla poliedricità degli accostamenti. Un aspetto davvero determinante, perché la geometria degli accostamenti è in grande calo, sta sempre più emergendo il punto G (del gastronauta) che indica una democrazia del palato, cioè l’accostamento dei piatti a seconda del gusto personale non imposto dai manuali. Forse il successo arriva anche dalla contaminazione più frequente delle cucine, perché così tanti ingredienti multietnici sfuggono alla possibilità di scegliere un bianco o un rosso.
Ma come si ottiene il rosé? Scacciamo subito l’idea prevalente che sia semplicemente un mix di vino rosso e vino bianco. Il sistema più diffuso è la vinificazione in bianco di uve rosse dove il mosto e le vinacce restano a contatto (non più di 24 ore) fino a raggiungere una tonalità voluta. Il salasso è un metodo con il quale l’uva viene pigiata a una temperatura abbastanza bassa e non viene pressata: la massa del pigiato viene lasciata macerare a una temperatura di circa 15° per evitare la fermentazione. Una volta ottenuto il colore desiderato si separa dalle bucce il mosto fiore e si prosegue con fermentazione in bianco.
Giorno dopo giorno il mercato annuncia nuovi rosé: il successo è ormai consolidato, la moda è divenuta tendenza vistosa, ma i protagonisti stanno diventano forse troppi.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su