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Il / Il Sole 24 Ore

Vino essere divino ... Un piacere senza paragoni e uno status symbol diventato fenomeno di massa: tutto in un calice di vino. Viaggio enofilosofico in una fattoria toscana, alle radici della civiltà del bere. Tra filari, botti e citazioni di Platone... Furore dionisiaco o meditazione spirituale? Consapevolezza o delirio? La storia della filosofia occidentale si è sempre svolta per cercare un equilibrio virtuoso tra questi poli. Da un lato il filosofo ha cercato di disegnare i confini della giusta misura, dall’altro ha continuamente provato a infrangerli, alla ricerca di quella verità che sta oltre la misura...Sembra l’identikit di un bevitore, non di un pensatore. Una sottile differenza notata da Massimo Donà, professore di filosofia teoretica del San Raffaele di Milano, e da lui descritta nei saggi “Filosofia del vino e l’anima del vino” (entrambi Bompiani), sorta di storia del pensiero occidentale attraverso il bicchiere. Ne abbiamo parlato una mattina uggiosa di fine gennaio, ahimè troppo presto per farlo con il conforto di un calice (l’ora per prima della quale il richiamo dell’alcol denuncia una dipendenza da etilista è fissata intorno alle 11).
Professor Donà, cominciamo con una domanda (apparentemente) facile: rosso o bianco?
“Sono veneto e quindi dovrei dire bianco, per spirito patrio. Ma confesso che per me vale l’equivalenza “vino=rosso”. Come la terra, il sangue, la passione, l’Amarone di Verona. Corposo, di grado”.
E come la mettiamo con la sbornia?
“L’aspetto più interessante del bere è che, come accade per la filosofia, ci insegna a capire che il limite è diverso per ognuno di noi. L’ultimo bicchiere non è lo stesso per tutti. Ed è nella scoperta di quel limite, nel rischio che essa comporta, che abbiamo un’opportunità di trovare la verità”.
Conosci te stesso. Lo predicava Socrate.
“Nel “Simposio”, Platone sembra voler coniugare esplicitamente il binomio filosofia e vino, riferendosi al suo maestro. Socrate, che vive la filosofia come perenne ricerca, sa che può bere quanto vuole perché non perderà mai il controllo di sé, non uscirà mai dai limiti della giusta misura entro la quale ci si può dire liberi e consapevoli. Sapeva esattamente quale fosse il suo ultimo bicchiere e quale forza rivelatrice potesse contenere”.
Tanto per procedere per citazioni dotte: la classica “in vino veritas”. Questo lo dicevano i romani, ma lo si trova ancora oggi scritto su improbabili glacette-regalo...
“In questa frase, diventata popolare, è concentrata fin dall’antichità la più potente metafora enologica. Gli antichi avevano intuito ben prima dei filosofi quale fosse il paradosso dell’essenza della verità: la verità non è qualcosa che ci salvi e ci metta al riparo dal male, ma qualcosa che abbraccia entrambi gli opposti. In un certo senso ci espone al pericolo, ci spinge a essere ambivalenti”.
Come il vino?
“Già. A mano a mano che beviamo ci sentiamo portati via da una forza che allo stesso tempo ci fa sentire passivi e più liberi. E più ci sentiamo liberi, più diventiamo sinceri”.
Ma la perdita dei cosiddetti freni inibitori, il “ci lasciamo andare” non è una scusa un po’ trita per concedersi qualche deviazione (verbale e pratica) dal percorso abituale?
“Ma non c’è niente di male a bere un bicchiere per darsi un po’di coraggio, per sentirsi più forti, per essere insomma altri da se stessi. Quando assumiamo una qualunque maschera (reale, come nel carnevale o virtuale, come in una chat su Internet) in fondo riusciamo a essere più veri. Ecco, anche il vino fa parte del carnevale della verità. Questo è un processo che finora la pura razionalità occidentale ha obliato”.
E adesso che cosa succede?
“Più o meno consciamente è cresciuto il bisogno di rapportarsi a un prodotto della terra (ma fatto dall’uomo), al risultato dell’unione della forza della natura con la capacità di artificio. Una sintesi perfetta, che attira come una calamita. E questo perché viene da un’istanza fondamentale: stiamo sperimentando il crollo delle ideologie che ci avevano fatto credere che stando da una parte o dall’altra potessimo avere la certezza di schierarci dalla parte del bene o del male”.
Una responsabilità enorme per una bottiglia, sostituirsi alle certezze politiche.
“Ma è esattamente quell’unità degli opposti che i filosofi sono andati cercando fin dagli albori. Guarda caso il vino è stimolo di socializzazione, cioè mette in comune, ci aiuta a superare le opposizioni, indica il percorso per chiudere l’era degli schieramenti e delle contrapposizioni ideologiche. Empiricamente, è ovvio”.
Si può parlare di una “civiltà del bere”?
“Direi proprio di sì, ormai si produce ottimo vino in tutte le regioni, anche in quelle che un tempo fornivano solo un liquido da taglio. La gente frequenta in massa corsi di degustazione, presentazioni, enoteche. Il vino è diventato un prodotto di successo, uno status symbol, un fenomeno di massa”.
Dal ristorante gourmet alla pizzeria con vino da tetrapack, sono in pochi quelli che resistono alla tentazione dell’esibizionismo enologico. Oggi con in mano un bicchiere di rosso si sentono tutti dei sommelier... Perché?
“Anche la diffusione su larga scala di un fenomeno di massa di per sé molto positivo ha un prezzo da pagare e la volgarizzazione in fondo non fa male a nessuno. E’ folkloristica, caricaturale, narcisistica, soddisfa i nostri bisogni più superficiali. Guardiamola con ironia, e un po’di tenerezza”.
A tradimento: che cosa pensa degli astemi?
“Sinceramente? Un po’mi fanno pena, come chiunque esasperi una posizione. Chi esclude in toto una cosa esprime una forma mala di esperire il mondo. Peccato”.

Il servizio fotografico di “IL” tra i vigneti e le cantine di Sorbaiano
Il servizio pubblicato in queste pagine è stato realizzato da “IL” tra i vigneti e le cantine della Fattoria di Sorbaiano situata a un chilometro dall’antico borgo medioevale di Montecatini Val di Cecina (Pisa). Sorbaiano, antico appoderamento romano e quindi feudo della nobile famiglia volterrana Inghirami, fu acquistata dagli attuali proprietari (la famiglia senese Picciolini) alla fine degli anni Cinquanta. La Fattoria produce il Montescudaio Doc bianco e rosso, vini perfettamente strutturati realizzati secondo una lavorazione accurata con l’utilizzo della più moderna tecnologia. Spicca anche la vinsantaia, dove in barrique viene invecchiato per 5 anni il vinsanto Montescudaio Doc, prodotto in quantità limitatissima secondo l’antico metodo delle cole e delle uve appassite sui graticci. Le case coloniche sono state ristrutturate per le strutture agrituristiche.
www.fattoriasorbaiano.it

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