Il Marroneto, il cui nome evoca l’antica funzione di essiccatoio per castagne dei locali oggi adibiti a cantina aziendale, fu acquistato nel 1974 dall’avvocato Giuseppe Mori, e suo figlio Alessandro, anche lui avvocato, fin da subito ne restò innamorato, fino a diventarne, nel 1994, il “deus ex machina”. Dapprima recependo i primi insegnamenti dall’enologo Mario Cortevesio (nel 1998 gli subentrerà Paolo Vagaggini) e le preziose indicazioni di Giulio Gambelli, e poi, diventando lui stesso l’artefice principale dei suoi vini. Dai 6 ettari a vigneto, distribuiti a ridosso delle mura di Montalcino e sul versante nord-ovest di Montosoli, Il Marroneto ricava 30.000 bottiglie all’anno, ma quello che più conta è il fatto che sia riuscito a scrivere tra le pagine più avvincenti della denominazione almeno nel primo ventennio del Nuovo Millennio. La ricetta del suo successo è semplice e insieme complicata: utilizzare la tradizione produttiva dell’areale in modo rigoroso, proponendone una lettura al contempo fuori dagli schemi. Ecco allora impianti “larghi” per il suo vigneto e un’interpretazione del Sangiovese meno estrattiva e potente, ma più affinata e di grande bevibilità. Una cifra stilistica ben leggibile nel Brunello di Montalcino 2016, dai profumi di pietra focaia e grafite su una base fruttata fragrante, ad anticipare un sorso contrastato e ben scandito nei tannini saporiti e nella vivacità acida.
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