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Il Mattino

A Vinitaly una novità che fa discutere. Anche californiani e australiani all’assalto del mercato italiano ... Si chiama Jinwangchao ed è la prima bottiglia di vino cinese presentata nella storia del Vinitaly. La viticultura a Pechino non è proprio una novità, chi è stato in Cina lo sa: i negozi di alimentari e di bibite sono pieni di Great Wall bianco e rosso del tutto simili ad alcuni vini venduti a ridosso degli scavi di Pompei sino a non molto tempo fa. Il Jinwangchao è stato però portato ieri in Fiera dalla Coldiretti per versare nel bicchiere la paura del «pericolo giallo» urlata dall’ex ministro Tremonti qualche mese fa. In realtà i guai del vino italiano, sui quali per il terzo anno consecutivo il Vinitaly è concentrato, non vengono ancora dall’Oriente, bensì dal viaggio fatto da Bacco in Occidente negli ultimi decenni. California e Australia regalano nel 2004 ai loro importatori italiani incrementi da capogiro, rispettivamente più 670% e più 101%. I cinesi, forse, verranno, ma ci vuole ancora tempo: una quarantina di loro sono in Lombardia tra quindici giorni per uno stage tecnico. Fanno bene, lo Jinwangchao fa infatti schifo quanto il Great Wall! Intanto la Cina importa: +141% nel 2004, pari a 500.000 casse (80.000 dall'Italia) e 4,5 milioni di litri. Per questo ieri è stato confermato il China Vinitaly a Shanghai, in programma dal 24 al 26 novembre. Diciamolo, questa crisi somiglia un po’ a quella della fillossera nel secolo scorso: il Nord la percepisce prima in tutta la sua dimensione globale, tanto che Gianni Zonin, protagonista in questi giorni nella battaglia per il controllo della Bnl, trova anche il tempo di lanciare l’idea di un piano Marshall per aumentare i consumi: «Questa crisi - dice - è strutturale perchè le vendite sono contratte, dobbiamo fare i conti con sovrapproduzione e minore competitività del sistema italiano sui mercati mondiali». I margini di crescita dei consumi adesso sono negli Stati Uniti, destinati a diventare il principale mercato di vino nel 2008, cioé domani: solo il 12% degli americani beve l’88% di vino venduto nel paese. La battaglia non si vince sui top wine ormai affermati, anche se quelli senza storia hanno gravissimi problemi, ma nella fascia compresa sotto i dieci dollari. Qui l’Italia e la Francia non sono competitive. «Secondo me è necessario - dice Silvia Imparato produttrice del Montevetrano - legare il prodotto al territorio, impegnarsi a fare qualità e restare sempre aggiornati». «È vero, la qualità - afferma il neo presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni - è il reale modello produttivo da perseguire». Marco Caprai, produttore del grande Sagrantino sempre in testa alle classifiche comparate, sostiene che «bisogna difendere l’Italian Dream fatto di divertimento e stile di vita, così come è stato rappresentato nell’immaginario collettivo americano dai nostri registi. Primo fra tutti Fellini» Si faceva il paragone con la fillossera. Al Sud la crisi non è percepita, proprio come è accaduto 70 anni fa, perché al momento c’è solo un rallentamento in alcuni segmenti, soprattutto quello compreso tra i 10 e i 20 euro, mentre volano i top wine meridionali, davvero molto convenienti rispetto agli altri italiani e stranieri, e i vini tipici da vitigni autoctoni capaci di mantenersi in uscita dalle aziende al di sotto dei 5 euro. Non a caso al Vinitaly gli spazi dei padiglioni sono raddoppiati: qui ormai Puglia, Campania, Basilicata e Calabria sono la kermesse nella kermesse. Decine le novità, tantissimi bianchi con un rapporto tra qualità e prezzo davvero fantastico. «Stavolta - dice Franco Prattico, produttore casertano - non possiamo lamentarci, abbiamo tutto lo spazio per lavorare». Il presidente della Coldiretti Paolo Bedoni è convinto: «Dalla riscossa del Sud dipende la capacità del Made in Italy di battere i nuovi paesi produttori». E Chicco De Pasquale, organizzatore di Vitigno Italia in programma a Napoli dal 3 al 5 giugno, conferma: «Abbiamo avuto molti incontri, già ci sono 250 adesioni al nostro salone. Non vedo un futuro anonimo, ma ricco di grandi vini e tantissime bottiglie di uve tipiche vendute a buon prezzo. Il Vesuvio non si può imitare, e neanche l’Etna».

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