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Il Mattino

Vitigni autoctoni, il tesoro italiano. Gli esperti: il futuro del vino è la tipicità…
Un confronto tra cinque enologi che fanno tendenza in Italia in un momento molto difficile per il mercato del vino. Il forum organizzato dal Mattino nella Sala Siani con Vitigno Italia, ha anticipato i temi della manifestazione in programma a Napoli dal 3 al 5 giugno. Al confronto, presieduto dal Presidente Chicco De Pasquale hanno partecipato gli enologi Carlo Ferrini, Franco Giacosa, Lorenzo Landi, Luigi Moio e Angelo Valentini.
Partiamo anzitutto dalla definizione teorica. Cosa vuol dire vitigno autoctono e perché ognuno intende qualcosa di diverso dall’altro quando si usa questa espressione?
Perrini. Il tema è complesso e difficile, in questi ultimi tempi se ne stanno dicendo di tutti i colori.
L’importante è partire dal progetto aziendale. Mi chiedo ad esempio, qual è il vitigno autoctono di Bolgheri, il carbernet sauvignon?
Giacosa. Effettivamente il termine autoctono non è appropriato, più che altro è una parola semplice e commestibile. Io credo che un vitigno possa essere considerato autoctono quando è tradizionalmente legato al territorio.
Landi. Io penso che un vitigno sia autoctono quando è stato modificato nel corso della sua coltivazione in un territorio.
Moio. Autoctono non vuol dire per forza buono. Anzi, con le uve locali si corrono molti rischi, si lavora in una situazione di sperimentazione permanente. Alcuni, come il grignolino o il nerello mascalese non hanno autoctoni a sufficienza e dunque, vale la pena lavorare? Per me autoctono significa identità varietale su una identità territoriale.
Valentini. Io darei una definizione più generale, i vini somigliano agli uomini che li fanno. Gli autoctoni sono stati distrutti dalla fillossera e sostituiti da uve più produttive. Ora si avverte nuovamente il bisogno di tornare all’identità perché non c’è più una esigenza nutrizionale ma culturale.
Questo intervento ci porta al secondo aspetto della questione, al segreto del successo dei vitigni internazionali, più facili da coltivare e più produttivi.
Perrini. Si, partiamo dalla vigna e dai fattori che influenzano come il terreno, l’altitudine, la piovosità. In Francia c’è il modello bordolese, dove si è adattato un blend al terroir e quello di Borgogna, dove tutto è stato puntato esclusivamente sul Pinot nero. In Italia stiamo appena iniziando a studiare, sinora un lavoro completo è stato fatto solo nella zona del Chianti.
Giacosa. Il problema vero è proprio capire il vitigno, in Francia lo fanno da 200 anni. Per recuperare il ritardo da questo punto di vista bisogna studiare i cloni, e di conseguenza, i sistemi di allevamento per ovviare ai problemi che sorgono. Io credo che in ogni uva autoctona sia una grande risorsa, una fonte di biodiversità. I vitigni internazionali sono buoni da fare grandi vini e sono stati importanti nel recente passato in Italia, quando il nostro paese non esisteva nell’alta ristorazione.
Landi. Il vitigno internazionale è sempre uguale, è più facile prendere le misure. Per affrontare gli autoctoni bisogna studiare i cloni. Sinora abbiamo selezionato poco perché noi italiani siamo partiti in ritardo.
Moio. Infatti il problema di fondo degli autoctoni è legato alla conoscenza. Cabernet, Chardonnay, Merlot e altri internazionali sono stati studiati da decenni in tutto il mondo, per raggiungere un buon livello di comprensione sul comportamento delle uve tipiche bisogna aspettare e lavorare. Dobbiamo però dire che non siamo all’anno zero, ci sono autoctoni importanti e affermati, nel Sud penso all’aglianico e alla falanghina, i cui comportamenti ormai sono stati ben sviscerati. Il segreto è nella riconoscibilità sempre uguale nel tempo così come è stato fatto in Francia.
Ferrini. Questo è un punto importante. La sensorialità del vitigno, dell’azienda, deve essere costruita nel tempo, a volte nell’arco di più generazioni.
Valentini. Io penso che noi italiani dobbiamo soprattutto recuperare la nostra tradizione invece di parlare sempre della Francia. Quando ci hanno impedito di chiamare il nostro spumante Champagne abbiamo coniato un termine che vuol dire tutto e niente, metodo classico. Io avevo suggerito, per esempio, metodo benedettino. Quando conferii il titolo di somelier onorario al Papa mi sentii dire dal Pontefice: ma perché usate un termine francese?
Qui abbiamo due bottiglie particolari. Un Tintilia molisiano e un Sinatra con cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot. C’è anche il vino Maradona a proposito di etichette naif. Quale di questi due è il futuro?
Ferrini. Difficile fare previsioni. Quindici anni fa si pensava che il mercato si sarebbe orientato verso il bianco, cinque anni fa verso i grandi rossi. E ci troviamo nel mondo dalla formula una bottiglia, un dollaro. Certo, siamo pagando errori del passato, esagerazioni fatte nel corso della crescita. In realtà la viticoltura nel nostro paese ha svoltato nel 1980. Io penso che la ricetta sia migliorare la qualità del prodotto perché indietro non si torna e tenere i costi bassi.
Giacosa. Prima il Nuovo Mondo non ci dava alcun fastidio, adesso lo scenario è cambiato completamente. Noi italiani, visti i costi e la concorrenza, ci dobbiamo posizionare sui segmenti più alti con vini di territorio a costi contenuti. Sono d’accordo con il fatto che scontiamo gli errori del passato recente.
Landi. Noi italiani dobbiamo sfruttare la peculiarità del prodotto, la diversificazione del territorio e in questo momento il vitigno autoctono è una strategia commerciale evincente.
Molo. Gli autoctoni possono essere la nuova frontiera. Io non do la colpa a nessuno, alcune scorciatoie del recente passato andavano comunque percorse, la strada e far sì che ogni territorio riesca ad esprimere la sua identità.
Valentini. Sforziamo la fantasia, come quando lanciamo il Carmignano per differenziarci dal Chianti. Penso che il mercato oggi sia fatto da giovani. In questo i francesi fanno scuola, a volte la loro bottiglia vale più del vino che contiene.
De Pasquale. Questa discussione conferma la validità della nostra iniziativa a Napoli: serviva una fiera del vino non generalista, c’è già il Vinitaly. E il tema, scelto un anno e mezzo fa, è sempre più attuale.

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