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Il Messaggero

Cantine Aperte 2003 - La storia insegnata dalle cantine: dall’antica Colchide alla Napa Valley, l’evoluzione della civiltà ... Cantine aperte o della “glasnost” del vino. La novità di oggi rispetto al passato si caratterizza col movimento dei consumatori, con la crescita di un segmento di appassionati, sempre più competenti, che viaggiano, visitano, scoprono i luoghi dove nasce un’etichetta. Dal vino in un certo qual senso “astratto”, fatto solo di profumi e sapori che si acquista in enoteca, il salto culturale è l’appropriazione dei luoghi del vino, fatti di paesaggio, vigneti, storie, città d'arte. Contestualizzandosi il vino diventa racconto, un ombelico potente con un territorio e con la sua gente, della quale è espressione non meno del campanile di una chiesa. Si aprono le cantine e si innesca così un movimento di importante contenuto culturale, senza contare il valore aggiunto, in termini di opportunità turistiche, per un’area determinata, che si tratti del Chianti, o delle Cinque Terre. Infinite storie si possono raccontare all’ombra del vino, magari partendo proprio dal suo luogo più intimo e segreto, la cantina. Due le immagini per un affresco ideale. La prima è nella Colchide degli albori della storia, la meta di Giasone e dei suoi argonauti, l’attuale Georgia. Qui il primo vino matura sotto mucchietti regolari di terra, nel “marani”, riposto nei “kweri” delle giare oblunghe di ceramica tappate con legno di quercia. All’altro estremo le cantine Gallo, in California, uno sterminato stabilimento avveniristicato di dimensioni tali che occorre sorvolarle con un aereo per rendersi conto delle dimensioni. Tra questi due estremi il viaggio potrebbe continuare a Pilo, nella reggia di Nestore, il re omerico che partecipò alla guerra di Troia, dove gli archeologi moderni hanno trovato più di seimila “pithoi”, le grandi anfore dove il prezioso nettare veniva lasciato a invecchiare in ambienti freschi. Meno solenne, ma vivacissima, sarebbe stata anche una puntata a Pompei, prima dell’eruzione. Come a Bordeaux molti secoli dopo, infatti, le botteghe dei ricchi produttori erano luoghi dove la casa si prolungava nella cantina, e molto spesso nel luogo di mescita. Il Medioevo è invece racconto di cantine di monaci. La storia dei grandi crus della Bourgogne nasce infatti dai cistercensi di Citeaux. Un fenomeno che sarebbe stato imitato in tutta la regione, dalle suore di Notre Dame de Tart a Morey, al Clos de Bèze, dal nome dell’abbazia al confine con la Sassonia. Stessa cosa in Germania, dove i torchi dell’abbazia di Kloster Eberbach diventano proverbiali, non meno della botte colossale da 70mila litri costruita ai primi del ’500 e diventata protagonista di titaniche sbronze, quando nel 1525 il convento fu saccheggiato. Un grande salto e, in pieno XVIII secolo, ecco la botte colossale sormontata da pista da ballo di Konigstein, oppure le cantine ricche dei più grandi tesori della Franconia, della Rezidenz a Magonza con affreschi di Tiepolo del principe vescovo Karl Philip von Grieffenclau. Un capitolo a parte vale per le cantine come luogo alchemico, dove il vino, materia viva, diventa oggetto di esperimento e di scoperta. Era certamente così Hautvillers, vicino a Epernay, dove nel XVII secolo Dom Pierre Pérignon, mise a punto i fondamenti della tecnica dello Champagne. E il viaggio potrebbe continuare lungo le tracce della muffa nobile, che attaccando l’uva, trasferisce al vino caratteristiche di irripetibile eleganza, un viaggio che parte dalle cantine di Sauternes a Bordeaux, prosegue lungo i cunicoli dove si affina ancora oggi il prezioso Tocai, vino carissimo agli imperatori d’Austria. Sempre in cantina, anche per vivere una storia che parla di materiali: dalle prime botti, già come quelle di oggi costruite intorno al III secolo a.C. dai Celti con legno cerchiato di ferro, alle grandi vasche d’acciaio computerizzate. (arretrato de "Il Messaggero" del 25 maggio 2003)

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