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Il Messaggero

E’ l’Europa dell’Est la nuova frontiera del vino italiano. I produttori sbarcano in Romania, Ungheria e Bulgaria. E Generali compra 5.500 ettari a Bucarest ... Il vino torna a casa. Riprende la via dell’Est Europa, verso quel confine euroasiatico da cui, millenni fa, la vite vinifera era partita alla conquista del Mediterraneo e poi del mondo. In Ungheria, Romania, Bulgaria e Georgia, è l’ora del rilancio, alimentato in buona parte da capitali e tecnologia stranieri. Francia, ma anche moltissima Italia. Duplice la scommessa: posizionarsi in aree di attesa maturazione dei consumi (e imminenti partner Ue) e aprirsi il varco verso enormi mercati prossimali, Russia e Asia, con prodotti di cui è più agevole contenere costi e prezzi entro limiti competitivi coi vini di Nuovo e Nuovissimo mondo. Cile o Australia, concorrenze sempre più pressanti.
Ecco allora l’Est da vino a proscenio al Salone di Torino. Confronto voluto da Confagricoltura, che parallelo workshop mirato tra 40 buyer dell’Est e 150 produttori italiani.
Racconta Fabio Albisetti, tycoon dell’export agroalimentare, Oriente, Russia e Polonia, società a Montecarlo con i Cremonini, ma proprietario in proprio di Paneretta in Chianti, e ora anche di 500 ettari da vino in Romania: «Produciamo con stupendo personale locale, tranne gli enologi, l’italiano Magli e il francese Vivas. Vendiamo in Romania a prezzo medio calibrato di 2,33 euro a bottiglia. Puntiamo a crescere molto e a recuperare vitigni rumeni (Feteasca) da affiancare agli internazionali che per ora sono il clou».
Spiega Cristian Colteanu, ambasciatore rumeno in Italia: «Da noi 13.500 aziende hanno oggi nel motore capitale italiano. Segno che vi trovate bene. Sul vino poi, avete davanti un mercato di 23 milioni di persone che di vino hanno già cultura e appena oltre confine ce n’è uno da 200 milioni di persone, area di libero scambio con l’Europa. Noi siamo la vostra porta. E abbiamo grandi vigne».
Ungheria è la scelta fatta invece a suo tempo da un blasone illustre come Antinori, con alleati come i Mazzei (Fonterutoli) e l’ungherese Peter Zwack, Tokaj Amaro Unicum e legami di sangue con produttori celebri in Spagna e Italia. Curata da Renzo Cotarella, plenipotenziario enologo che firma vini-mito come il Solaia, la produzione a marchio Baatapati vale 500.000 bottiglie. Un quinto si vende già in Italia. Bulgaria è invece la scelta dei Mastroberardino, re dell’Aglianico: 200 ettari in società con lo Stato (lì ancora si beve). Ancora Romania, e alla grande, per Genacricola (gruppo Generali): 5.500 ettari incolti, ovviamente non tutti destinati a vigne, ma cuore del futuro dell’agricoltura specializzata rumena. Georgia, invece, per i Baroncini, toscani di San Gimignano. Di nuovo Bulgaria per i fratelli Miroglio, con l’enologo Monchiero, piemontese. La Campari poi, di recente rientrata di peso nel vino con l’acquisto di Sella & Mosca, ha bruciato le tappe: sbarca direttamente in Cina, a Shandong, con 200 ettari avuti in gestione dallo Stato.

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