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Il Messaggero

Per il vino italiano primo stop sull’export, “resiste” il Brunello ... Le previsioni dei più accorti (facili, pur se disagevoli da digerire) erano centrate: il vino italiano di qualità perde, dopo anni di sprint, colpi sul fronte affollato del mercato mondiale. L’export arretra su piazze strategiche, complici crisi diffusa e, per gli Usa, l’euro-star. Ma paga anche un profilo prezzi figlio in parte di velleità, più che di accorte stime manageriali. Tiene, proprio negli Usa, il Brunello di Montalcino, che festeggia da ieri la “vernice” della nuova annata in commercio, le cui quote americane relative in controtendenza crescono. Ma il -17% in Germania e lo stop generale (e c’è chi teme esiti più duri dall’avvio del 2004) del comparto non possono essere bilanciati dal buon risultato parziale del vino del colle toscano più celebre. Proprio il Brunello poi, come l’Amarone e altre etichette, nodali e del tutto italiane ma non “localiste” nel nome, è nel cono a rischio della guerra sulle denominazioni a livello Ue, che ci ha visto perdere la prima battaglia, non decisiva, ma certo inquietante. Il nostro vino ha un giro d'affari di 8 miliardi. La produzione vale il 21% di quella mondiale. Il patrimonio di filiera sfiora i 50 miliardi. E con il 16,8% sul totale il vino è capofila dell’export agroalimentare italiano e punta del comparto, tanto più in presenza di crisi come quelle di Parmalat e Cirio. Superfluo sottolineare quanto sia importante la ripresa del ciclo interrotto nel 2003. A partire dal riesame delle strategie e da un nuovo, più coerente impegno di promozione. Su questo fronte è da poco in campo Enoteca d’Italia, partecipata minAgri-Regioni varata ad hoc. E un po’ tutte le altre grandi sigle hanno ripreso a spingere. La settimana toscana (prima di Brunello è toccato a Chianti e Nobile debuttare) è l’occasione per riflettere. Oltre che per presentare con fiducia al parterre mondiale le nuove “creature” in bottiglia.

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