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Il Messaggero

I produttori “sani” querelano, ma il mercato teme uno stop ... L’allarme all’estero, “le partite sotto inchiesta vendute solo in Italia”... E ora il mondo del vino, quello vero, quello che si sente vittima e non indiziato, va al contrattacco. Coi bazooka. E gli avvocati. La Regione Veneto annuncia: sarà parte civile, e decisa a “fare più male possibile”, dice il governatore Galan, a chi proprio in questi paraggi si è fatto complice della trama che ha dato il via al caso adulterazioni. E Vinitaly, la Fiera ferita dal caso proprio nel giorno dell’inaugurazione, annuncia querela contro i responsabili di “allarmistiche notizie infondate per la stessa magistratura”; la Fiera parla di difesa del suo marchio, accostato indebitamente all’accaduto. Pronta a muoversi anche Confagricoltura, che riunirà la giunta martedì per decidere su possibili azioni legali. Ed è alla finestra Federdoc, sigla che riunisce denominazioni e Consorzi, che potrebbe andare in tribunale una volta valutato il danno effettivo. Intanto, il presidente Ricci Curbastro sottolinea: fiducia nelle indagini; ma tempi maledettamente troppo lunghi per i tempi di un’economia che patisce il guaio già dalla prima bottiglia rimessa sul mercato. Solidarietà infine al Consorzio di Montalcino: “Regolare il 98,9% delle superfici controllate”, la sostanza per Federdoc è questa, il resto tutto da vedere.
E in trincea va, intanto, anche la grande distribuzione. Indicata come luogo materiale, teatro forzoso della consumazione del “misfatto”, cioè la collocazione e vendita (a proposito, e a scanso di inutili levate di scudi dall’estero già accennate e poi rientrate in Germania: neanche un litro delle partite indagate ha varcato i confini, ed è ben arduo ipotizzare che possa farlo ora) dei brik taroccati, innesco del gigantesco bengala esploso tre giorni fa, si proclama più che innocente, meritoria. E sciorina a discarico le cifre: 7 milioni di hl di vino venduti nel 2007. E al loro interno crescita del 6,7% di quello protetto da denominazione d’origine. Il controvalore totale è 1,5 miliardi, e il dato tradotto vuol dire che circa il 60% di tutto il vino confezionato venduto in Italia passa per il canale Gdo. E ancora: il vino in bottiglia da tre quarti copre circa il 66% a valore delle vendite; e a sua volta Doc, Docg, Igt ne assorbono il 90%.
Altro dato: sono proprio i vini di fascia alta a crescere di più, pur se seguiti da quelli di fascia più bassa: più 15% per gli over 7 euro, più 9% per gli under 2 euro. Ma la ripresa del vino cosiddetto da tavola, annota Ermanno Gargiulo, responsabile acquisti vino Coop Italia, non è certo “colpa” dei market, ma semmai di una contingenza economica che spinge molti italiani ad accorciare il braccino sugli acquisti di alimentari in genere, e dunque anche sul vino.
“Ma la situazione vista dal fronte dell’operatore - annota Sergio Soavi, che per la Coop segue il comparto prodotto tipico, e dunque a certe “filosofie” di consumo - è il rischio di un progressivo allontanamento del consumatore dalle radici profonde di questo consumo, che spenda 48 cent per il brik o ben oltre 100 euro per un Sassicaia. Si sta perdendo per strada la percezione che il vino è un prodotto agricolo, speciale, ma che nasce nel campo. Il peso del marketing sta invece orientando consumatori che entrano nel settore provvisti solo di frettolose consultazioni di breviari. A questo consumatore va fatto capire che un prodotto di un certo tipo e un certo prezzo sarà igienico, sano, certo: ma tutto là. Il resto è altrove. Ma per fare, e far sapere di più., occorre riportare l’acquirente vicino al luogo e alla terra da cui il vino proviene. O la scommessa non si vince”.

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