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Il Messaggero

“Le regole? Cambiamole, ma in modo lecito” ... Cotarella: “Tutti hanno la voglia di arricchirsi seguendo il gusto del consumatore”... “Cosa chiede un’azienda a un enologo di fama? Di esprimere un territorio, e non un’uva. E di farlo in modo vincente e convincente. Attraverso la sua uva, il suo clima, il terreno, persino quella che io chiamo la sua passione popolare, il suo spirito”. Enologo di fama, Riccardo Cotarella lo è, nel suo mercato: lavora in tutte le Regioni italiane, Val d’Aosta e Trentino escluse, fa vino per 66 aziende, e fuori confine lavora nel “tempio” francese di Bordeaux, in Usa e in Israele.
Quante volte tra la domanda e la risposta si frappongono le famose regole?
“Sempre, in teoria. Ma il fatto è che le regole le fanno e se le danno proprio i produttori, riuniti in Consorzio, nel 90 per cento dei casi. Se non vanno più bene, le cambiano. E non vanno più bene ad esempio, perché cambia il clima; o cambia quel gusto del consumatore che, oltre alla poesia, che pure c’è, è quello che fa alla lunga il vino. Deve berlo lui, mica noi”.
A cambiare però ci vuol tempo, spesso battaglia, non sempre è giusto, quasi mai condiviso, è come un condominio, si litiga perfino sull’ascensore nuovo. E intanto la tentazione di trasgredire per rispondere bene alla famosa domanda, quanto è forte?
“Quanto è forte la voglia di arricchire? Tutti ne hanno la tentazione, il desiderio. Poi ci sono tante strade. Bravo davvero è chi segue quelle lecite”.
Cosa risponde a chi, ad esempio, le chiedesse, o le ha chiesto di trasgredire?
“Rispondo che ci sono tanti modi di far le cose, appunto. E che il nostro bagaglio di cognizioni e di tecnica (che non è, attenzione, trucco o chimica, men che mai, non c’entra, ma solo i saperi che oggi abbiamo su Dna delle uve, loro famiglie, comportamenti, mezzi da usare in cantina, freddo, caldo, eccetera) ci consentono di gestire, attenzione: non far miracoli, ma gestire anche situazioni e annate più difficili della media. Prendiamo il colore che si ottiene da certe uve, Sangiovese incluso: oggi ci sono sottotipi che ne fanno ben di più di quanto si pensasse possibile un tempo. E se l’esigenza è quella…”.
Ma a lei l’“aiutino” i produttori lo chiedono o no?
“Non posso che rispondere in astratto. E ribadire che la mia risposta sono le mie conoscenze. Il bagaglio culturale per cui sono stato scelto”.
Torniamo ai casi concreti. Per il bene di Montalcino, certe regole vanno cambiate o mantenute?
“Montalcino è uno dei territori più belli d’Italia. E parlo proprio di territorio, nel suo complesso, e ci sono dunque tutti i numeri per esprimersi al massimo. Ci lavorano poi i tecnici più bravi, e dunque fino a prova contraria (e ripeto: perché fin qui prova ancora non c’è) ci si può muovere nello spazio che c’è anche dentro il disciplinare. Se si è andati oltre, si sanzioni pure chi lo ha fatto. Pensando poi a cambiare, se si profila la necessità assoluta. Ma che ci sia l’assoluta certezza. Altrimenti l’errore potenziale diventa solo danno autoinflitto per tutti”.

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