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Il Mondo

Per favore non gonfiate le bollicine ... Malgrado si parli e si scriva molto di vino, dispiace leggere in alcune indagini condotte recentemente da stituti di ricerca (come Censis ed Eurisko) che la tendenza dei consumatori nei confronti dei
vini spumanti, sembrerebbe essere quella di stappare delle bottiglie
solo durante feste e ricorrenze. E preoccupa anche scoprire che, a
quanto affermano gli intervistati, questi godano più del «botto» che
del contenuto della bottiglia. Con buona pace degli esperti del
settore, delle aziende spumantistiche e degli amanti del cosiddetto
bere bene, tutto questo porterebbe a credere che il futuro delle
bollicine italiane sia alquanto precario. Per fortuna, le indagini
non sempre c'azzeccano. Ma la questione non sta nella scontata
soluzione di auspicare una destagionalizzazione dei consumi dei vini
spumanti. Certo, immaginare che si possa bere sempre a tutto pasto
del vino spumante di qualità non sarebbe sbagliato. E' però bene
precisarlo che stiamo parlando di bollicine ottenute con il metodo
classico, quello basato sulla rifermentazione del vino in bottiglia.
E cioè di un tipo di bollicine di cui, per fornire delle cifre, in
Italia si producono non più di 18-19 milioni di bottiglie. Una
quantità irrisoria se paragonata all' esperienza francese o a quella
spagnola. Una quantità che peraltro non è destinata nei tempi brevi
ad aumentare molto. Come dire allora che il problema non è di
allargare la domanda, ma di selezionarla o, quanto meno, di
promuoverla in rapporto alle reali quantità disponibili, per
determinare una fascia di consumatori opinion leader, potenzialmente
in grado di sostenere nel tempo la fidelizzazione al prodotto.
Le guide specializzate premiano diversi vini appartenenti a questa
tipologia. A cominciare da etichette realizzate in territori come la
Franciacorta (Brescia), dove, in questi ultimi anni, si è assistito a
una crescita esponenziale della qualità globale, testimoniata da
investimenti economici ingenti, ma anche da scelte coraggiose nella
definizione dei disciplinari di produzione. Malgrado questi
lusinghieri risultati, il comparto delle bollicine dovrebbe compiere
ulteriori passi in avanti per ottenere una giusta risonanza sui
mercati nazionali ed esteri. Non a caso, a detta di alcuni tra i più
prestigiosi produttori di metodo classico, il livello complessivo
della qualità dei vini spumanti italiani non è ancora all' altezza
della partita in corso. E, benchè ci siano segnali di controtendenza,
come nel caso del laboratorio Franciacorta o di alcune prestigiose
realtà trentine, non deve stupire che incrociando i dati ottenuti
dalla lettura delle principali guide di settore, non sono più di
100-130 i vini spumanti metodo classico recensiti. Colpa dell'
eccessiva severità delle guide? Forse. Ma, soprattutto, colpa del
limite della comunicazione riferita al sistema bollicine italiane. Si
confondono, o non si conoscono tuttora, tra i consumatori le zone di
provenienza dei vini e, a differenza dei cugini francesi, non abbiamo
compreso che dobbiamo puntare culturalmente e progettualmente sul
territorio, sul valore aggiunto che quest' ultimo può e dovrà dare
alle bollicine italiane. Nell'attesa, possibilmente senza botto,
ogni occasione è buona per brindare.

Giacomo Mojoli - Slow Food

I pionieri del Trentino

E' in Trentino, sulle colline da una parte e dall'altra dell'Adige,
il più grande vigneto italiano di chardonnay. Per qualcuno anche il
migliore. Un vigneto al quale attingono in molti. I trentini, innanzi
tutto, che hanno così fatto della loro provincia il territorio
principe in Italia per la creazione di spumante metodo classico, ma
anche case di spumante d'altre regioni convinte di trovarvi la
miglior materia prima per le bollicine.
La vocazione spumantistica del Trentino è una scoperta che ha più di
un secolo. Ed è merito di Giulio Ferrari che, dopo aver piantato
chardonnay nella terre di famiglia, nel 1902 diede vita a una piccola
casa di champagne, come allora si poteva dire. Un secolo e passa
dopo, quel coriandolo d'azienda, passato poi nel 1952 alla famiglia
Lunelli, è diventato un gigante che produce 4,5 milioni di bottiglie
vendute: azienda leader per il metodo classico e tra le prime dieci
d'Europa. Un successo che ha spinto all'imitazione: oggi una ventina
di aziende operano sotto il cappello della Trento doc (più di 7
milioni di bottiglie l'anno).Tra queste il marchio storico Cesarini
Sforza (fa capo alla Fratelli Rinaldi e a La Vis), Cavit ( Graal e
Firmato), Rotari.

Franciacorta, basta la parola

Franciacorta: uno spicchio di terra nella provincia di Brescia,
vivaio di bollicine che, uniche in Italia, vantano la docg. Il
consorzio di tutela ha abolito dalle etichette delle bottiglie che
escono dalle cantine dei suoi soci la parola spumante. Si dice
Franciacorta e basta, per indicare lo spumante creato con uve,
chardonnay, pinot nero e pinot bianco, coltivate in questo territorio
e lavorate con il metodo classico. In altre parole, Franciacorta è un
territorio, un metodo, un vino. Che deve la sua fama nel mondo ad
aziende di assoluta eccellenza come la Ca' del Bosco di Maurizio
Zanella (cui sicuramente si deve l'affermazione internazionale della
Franciacorta enologica) e la Bellavista del gruppo Terra Moretti. Ed
è teatro di un continuo fiorire di aziende. Accanto a nomi storici
come Berlucchi (nata 50 anni fa per iniziativa di Guido Berlucchi e
Franco Ziliani che per primi hanno intuito le potenzialità della
zona, l'azienda di Borgonato è stata rilanciata da Cristina Arturo e
Paolo Ziliani), ecco farsi avanti case più giovani, ma già
protagoniste di splendide performance come Contadi Castaldi, Barone
Pizzini, Uberti, Villa, Ferghettina, Majolini, Fratelli Berlucchi o
Monte Rossa che ha celebrato i suoi venti anni con il Cabochon brut
1999, le migliori bollicine d'Italia del 2004 per la guida del
Gambero rosso. E c'è anche chi muove i primi, ma già sicuri, passi:
come la maison Montenisa di Antinori o la Tenuta Villa Crespia,
isola franciacortina dell'arcipelago di aziende vinicole create dai
Fratelli Muratori.

L'Oltrepò vuole diventare docg

Il Pavese è una provincia a forma di grappolo d'uva, scrive Gianni
Brera che era di qui. E l'Oltrepò è la zona di maggiore produzione di
pinot nero ( 2.600 ettari) da cui attingono anche aziende non della
zona. Clima considerato ideale per la coltivazione oltre che del
pinot nero anche di pinot bianco e di pinot grigio (vitigni che,
assieme allo chardonnay, alimentano lo spumante metodo classico)
l'Oltrepò ha sofferto fin qui di un'immagine non all'altezza delle
sue potenzialità, anche per colpa delle troppe tipologie e
sottotipologie di vini. Ma c'è chi sta pensando al rilancio. «Solo
riconoscendo le produzioni di maggior pregio della zona, come lo
spumante metodo classico, si può elevare l'immagine ed evitare
confusione nei consumatori», sostiene Gianni Zonin che è proprietario
in quest'area della tenuta il Bosco: 140 ettari di vigneto, di cui 50
a Pinot ner, per la produzione di spumanti metodo classico, 50 a
Bonarda, 30 a Barbera, oltre a due vitigni classici del posto il
Vespaiolo e l'Uva rara. Insomma, secondo Zonin è il momento di
riservare la denominazione garantita allo spumante metodo classico da
chiamare Oltrepò classico (oltre ai rossi Bonarda, Barbera e Pinot
nero). Si vedrà.
Altro punto di riferimento per gli appassionati nella zona è la
grande cantina sociale di Santa Maria della Versa, presieduta da
Giancarlo Vitali. Un'azienda che ha quasi un secolo di vita e
rappresenta la maggiore realtà produttiva dell'area con 5,4 milioni
di bottiglie e 1300 ettari vitati di proprietà dei 750 soci. Tra le
realtà più piccole spicca Monsupello. (arretrato de "Il Mondo" del 19 dicembre 2003)

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