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Il Mondo

Vino made in Italy - Le reazioni dei produttori alle decisioni Ue. Non resta che registrare i marchi ... Ha cominciato il Consorzio del Brunello. Ora si parla di Amarone e Recioto
C’è chi ha giocato d’anticipo come il consorzio del Brunello di Montalcino che in tempi non sospetti ha registrato il nome del vino come marchio di impresa in otto importanti Paesi.del mondo. “L’operazione è stata fatta già undici anni fa negli Stati Uniti e più di recente in Giappone, Svizzera, Canada, Australia, Argentina, Cile e Sudafrica”, precisa Stefano Campatelli, direttore del Consorzio, sottolineando come questa iniziativa abbia costituito “una garanzia nei confronti di eventuali imitazioni”. Nessuna protezione invece per altri importanti vini italiani dopo la decisione della Comunità europea di liberalizzare “a determinate condizioni l’uso internazionale di 17 menzioni tradizionali riservate a prestigiosi vini italiani”. Quali? Lo stesso Brunello (in quei Paesi in cui non ha depositato il marchio), e altri toscani come il Morellino (di Scansano), il Vino Nobile (di Montepulciano), il Vin santo, il Governo, il Vergine. Sotto scacco vini veneti come Amarone, Recioto e Torcolato; laziali come Est est est e Cannellino; campani come Lacryma Cristi, Falerno e Lambiccato, oltre al Gutturno (Colli piacentini), lo Sforzato (Valtellina), lo Sciacchetrà (Cinque Terre); a questo punto, almeno sulla carta, chiunque, in ogni parte del mondo, potrà produrre un Brunello, un Vin nobile, un Amarone. Una pioggia delle critiche (dalla Confagricoltura alla Coldiretti, dalla Federvini all’Unione Italiana Vini) ha già inondato il provvedimento comunitario. “E’ un gravissimo attacco al vino made in Italy e a tutti coloro che investono in un territorio”, commenta Gianni Belfiore, comproprietario della Sertori Salis, l’azienda valtellinese che produce tra i migliori Sforzato. “A questo punto, persa la tutela comunitaria, non resta che depositare in tutto il mondo i nomi dei nostri vini come fossero veri e propri marchi”, aggiunge Umberto Pasqua, amministratore delegato dell’omonimo gruppo veronese.
E pensare che già 20 anni fa un altro produttore veneto, Sandro Boscaini, titolare del gruppo Masi, aveva sollecitato la Camera di commercio a proteggere i termini Amarone e Recioto: “Due termini generici che rappresentano però un metodo e delle tecniche di lavorazione e fanno parte della storia e della tradizione della Valpolicella”, dice al Mondo lo stesso Boscaini, tra le firme storiche dell’Amarone. Adesso che i buoi sono scappati, Boscaini cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno: “L’Amarone non è un prodotto di largo consumo e non credo che un consumatore abituato a spendere in enoteca dai 50 euro in su possa lasciarsi abbindolare da qualche imitazione”.
Meno pessimista di molti suoi colleghi anche Fausto Maculan, padre del Tortolato: la soluzione secondo il produttore vicentino è adesso quella di puntare sui nomi delle località in cui viene prodotto il vino che è anche una strada per tutelare di più il territorio.

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