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Il Mondo

Pummarola in coppia ... Agroalimentare. Il tandem pasta e pomodoro, ma anche olio, limoncello e mozzarella sulla tavola campana... ...La vitivinicoltura della Campania affonda nei millenni ed è stata cantata da poeti come Orazio circa duemila anni fa. Dopo un periodo di appannamento è tornata ai vertici grazie soprattutto al rilancio dei vitigni autoctoni, venuti giustamente di moda mentre la gente è stanca dei vitigni globali dal sapore standardizzato. Ed è uscita addirittura rafforzata dalla crisi del 2002. Come? A spiegarlo è Luciano Pignataro, autore della Guida completa ai vini della Campania, tra i maggiori esperti italiani e con un sito che è tra i cinque più cliccati nel mangiare & bere nazionale. “I motivi di questo successo sono quattro” spiega Pignataro “la gestione familiare di quasi tutte le sue aziende, che permette la flessibilità massima; la incredibile varietà e tipicità della produzione; la domanda interna, il doppio della produzione; i costi contenuti, per cui anche i vini più cari sono meno costosi di qualsiasi Barolo”. Ma chi sono gli alfieri del vino campano?
Pignataro nella sua guida cita 142 eccellenze. Impossibile fare un elenco. Avellino rappresenta la punta di diamante della qualità vinicola campana con tre docg: il rosso Taurasi e i bianchi Fiano e Greco di Tufo. Il Taurasi ha appena battezzato, ospite la Comunità montana Terminio Cervialto, l’annata 2004, violenta, cupa, impenetrabile, di grande qualità. Ottimo da Caggiano, Feudi San Gregorio, Mastroberardino e Molettieri. Ancora Caggiano, Feudi di San Gregorio e Mastroberardino segnano le eccellenze del memorabile Fiano, intenso e gentile allo stesso tempo, così come Feudi e Mastroberardino producono magnifico Greco, fruttato e selvatico vino di origini antichissime.
In Provincia di Salerno esistono nicchie di grandissima qualità e originalità. Il Fiano, per esempio, non godendo del suolo vulcanico di altre zone della Campania, nato vicino al mare mostra sentori di salsedine che lo fanno più maturo da Maffini, con il Kratos; rimarchevoli sono anche il Cenito, blend di Aglianico e Piedirosso, e il Donazzano aglianico rosato. Ancora Fiano, vinificato all’antica, come fosse un rosso, e perciò denominato Antece nasce da Bruno De Conciliis, che offre anche rossi eccellenti come il Donnaluna aglianico e il Naima. Il Montevetrano frutto della passione di Silvia Imparato e di Riccardo Cotarella (enologo di fama mondiale) riesce a ricomporre la dicotomia tra vitigni autoctoni e internazionali con il suo blend di cabernet sauvignon, merlot e aglianico.
Mentre aggrappate sulla costiera amalfitana, come capre greche, le vigne di Marisa Cuomo garantiscono un fuoriclasse indiscusso, il Fior d’uva, con uve caparbiamente autoctone. Nel Sannio è in crescita la Fattoria La Rivolta, che produce rossi come il Piedirosso e l’Aglianico e bianchi come il Coda di volpe e la Falanghina. Quella Falanghina che per primo ha imbottigliato ed etichettato Leonardo Mustilli, ingegnere di antica nobiltà di Ravello, nato e cresciuto a Napoli, e innamoratosi trent’anni fa del vino che producevano le terre di famiglia a Sant’Agata de’ Goti.
Un innamoramento da cui è scaturita una piccola rivoluzione. In provincia di Caserta si deve a un avvocato e a una giornalista, Peppe Mancini e Manuela Piancastelli, la riscoperta di due vitigni autoctoni, il Pallagrello, caro ai Borbone, e il Casavecchia, di cui aveva scritto per ultimo nel ‘60 Luigi Veronelli, che, vinificati in purezza, hanno decretato il successo dell’azienda Tenute del Principe. Tocca alla storica Casa d’Ambra tenere alto il vessillo della produzione vinicola napoletana in generale e isolana, per la precisione l’isola d’Ischia, in particolare...

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