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Il Mondo

Una lunga storia fatta di sole e cantine ... L’agroalimentare regionale si può fregiare di 25 Doc e sei Igt nel vino e cinque Dop nell’olio... Con quasi quattro secoli di storia documentata alle spalle l’azienda vinicola salentina Leone de Castris rappresenta uno spaccato del rapporto tra Puglia e vino in tempi moderni. È stato nel 1625 che a Salice Salentino il duca di origini spagnole Arcangelo Maria Francesco de Castris fondò con criteri innovativi quella che è la più longeva cantina della regione. Ai primi dell’Ottocento quindi il loro vino ha cominciato a prendere la strada del nord, della Francia, della Germania dove infondeva calore, sapore e robustezza ai già famosi prodotti locali. Nel 1925 l’azienda è la prima in Puglia a cominciare l’imbottigliamento con etichetta. E nel ’43 arriva tra storia e leggenda la definitiva consacrazione internazionale: il generale Charles Poletti, commissario per gli approvvigionamenti delle truppe anglo-americane, battezza “Five roses” il rosato “cinque rose” che diventa così, grazie anche a questa geniale operazione di marketing, il fiore all’occhiello dell’azienda. Oggi ne è alla guida Piernicola Leone de Castris e offre un’ampia gamma di prodotti eccellenti, dal Salice salentino rosso negrino al Primitivo di Manduria villa Santera, dal Donna Lisa rosso e bianco al negroamaro Elo Veni, ai Salente rosso Illemos e Messere Andrea.

Il tempo in cui in Puglia erano rari i produttori di eccellenze come i Leone de Castris è, però, definitivamente alle spalle. Lo dimostrano le 25 Doc (che presto diventeranno 26, con l’arrivo delle Colline Joniche, in fase di approvazione) e le sei Igt. Soprattutto lo dimostrano alla prova assaggio la grande struttura e la forte identità in cui si esprimono i vitigni autoctoni e perfino - lo ammette anche chi non ama queste “interferenze” - i vitigni nazionali e internazionali che abitano ormai stabilmente le campagne della regione, cui il sole e la terra di Puglia riescono parimenti a donare spiccate doti di unicità e di riconoscibilità. Grazie anche all’opera di personaggi come Severino Garofano, enologo irpino per la cui genialità, sottolinea Luciano Pignataro, cantore principe della viti-vinicoltura meridionale, “almeno due aree sono balzate agli onori della cronaca specialistica: la zone del Ciro in Calabria e il Salento con il Patriglione, il Notarpanaro, il Graticciala tanto per ci
tare qualche nome, personaggi in grado non solo di fare vini buoni e straordinari, ma anche di riuscire a imperli in aree dove ancora fino a non molto tempo fa la preoccupazione principale era quella della quantità e non della qualità.

Un aiuto lo da senz’altro il clima: la Puglia nel 2007 è stata l’unica regione italiana a non avere chiesto operazioni di “arricchimento”, i cui vini, anche in quella pessima annata, sono del tutto naturali, insomma, non hanno avuto bisogno di correttivi. Ma ormai anche la costante ricerca della qualità fa la sua parte egregia. È allo studio una radicale modernizzazione del disciplinare della prima Doc pugliese, quella del San Severo, che data 1968, per la quale si vorrebbe dare più spazio ai vitigni autoctoni: il Bombino bianco, ma anche il Nero di Troia, antico protagonista dell’enologia pugliese da taglio e fortunatamente riscoperto, grazie soprattutto ad aziende come la Rivera. Molto nota per il Castel del Monte Capellaccio, per mezzo del lavoro di selezione massaie realizzato dal professor Attilio Scienza, l’azienda agricola ha messo in commercio appunto il Nero di Troia in purezza, venduto con l’etichetta Puer Apuliae, un vino considerato di notevole struttura e imponenza. Significativo è anche il lavoro che in Puglia si sta facendo sul Primitivo, un’uva dalla quale, secondo Hugh
Johnson, uno dei più importanti scrittori mondiali di cose vinicole, deriverebbe forse anche l’ormai arcinoto Zinfandel californiano.

Nel panorama regionale ormai le aziende che meriterebbero una citazione sono numerosissime. Citarne una parte sembra quasi fare un dispetto a tante altre. Ma qualche nome è d’obbligo. Oltre alle aziende già notate e alla Cosimo Taurino (che produce appunto gli eccellenti Patriglione e Notarpanaro) ci piace indicare il Torre Quarto cantine dal 1847, con il suo Sottaccia Puglia Nero di Troia. La d’Araprì, che produce da trentanni lo spumante con il metodo classico il cui prodotto di punta è il Brut Gran Cuvée XXI secolo. Le Cantine Botro-magno con il Primitivo di Manduria e il bianco Gravina, dal gran merito: hanno recuperato autoctoni rari come l’Impigno, l’Ottavianello, il dalmata Susumaniello vinificato in purezza. Ancora significativi sono il Patriarca Primitivo di Manduria dell’azienda Soloperto, il Romanico Canosa doc della Cefa-licchio, il Krita Salente della cantina L’Astore, il Brindisi dell’Agricola Vallone.

Quando si dice vino, è plurimillenaria tradizione mediterranea, si dice olio. E il discorso fatto per il vino vale anche per l’oro verde. Dicono tanto, sia pure non tutto, le cinque Dop della Puglia: Collina di Brindisi, Dauno, Terra d’Otranto, Terra di Bari e Terre Tarantine. Come per il vino si è di fronte a una varietà di qualità, sapori, odori indescrivibile. Aziende eccellenti ce ne sono una miriade. Tra di loro, a colpo sicuro: Duca Carlo Guarirli di Scorrano, Vero di Santeramo, Nar-ducci di Fasano, Caposella di Lecce, Minervini di Molfetta, Monterisi di Andria, Vetrere di Taranto, Clemente di Manstata assegnata al canestrate pugliese, ma diversi sono i prodotti tradizionali di qualità. Giusto qualche citazione di riferimento. Per il canestraio la Murgetta di Corato e la coop Caseificio pugliese sempre a Corato; per la burrata l’Asseliti di Andria; per il caciocavallo podolico del Gargano la Bramante di San Giovanni Rotondo e il consorzio BioGargano di Foggia; per il cacioricotta la Molino a vento di Biccari; per la giuncata Lanzillotti di San Vito dei Normanni; per la ricotta forte L’aia vecchia di Vernole. Tra le altre specialità pugliesi si fregia della dop il pane di Altamura, da assaggiare senz’altro al panificio Di Gesù. Ma, anche senza indicazioni, notevoli sono i taralli, per esempio quelli del Pastificio dei Trulli che ad Alberobello produce anche pasta artigianale.

Ma dire pasta, in Puglia, è dire Divella, un’azienda che accoppiando egregiamente industria e qualità ha fatto da traino, soprattutto nella grande distribuzione, all’Italia e all’estero, a molti prodotti enogastronomici pugliesi. Il pastificio Divella risale al 1890, quando Francesco abbandona il commercio di farine e granaglie per costruire il primo molino per la macinazione del grano e successivamente, nel 1905, il primo stabilimento per la realizzazione della pasta a Rutigliano, un piccolo comune agricolo in provincia di Bari al centro di vaste pianure da secoli dedicate alla coltivazione del grano duro. Giunta alla quarta generazione, l’azienda oggi conta 250 dipendenti in tre stabilimenti, produce 150 mila tonnellate all’anno (di cui 30 mila esportate in ogni continente) in oltre 150 formati e detiene l’8% circa della quota di mercato nazionale. Inoltre, offre una gamma molto ampia di prodotti alimentari nata dalla diversificazione avviata negli anni ’70: una linea completa di derivati del pomodoro, farine, semole, prodotti da forno, couscous, aceto balsamico.

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