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Il Mondo

... Si ferma in cantina il fenomeno trentino ... Modelli in crisi Il sistema cooperativo (assistito) e le difficoltà del mercato del vino... I debiti in forte aumento. In depositi pieni con vendite in discesa. LE difficoltà di Las Vis. E il costoso salvataggio da parte delle banche e della Provincia... Chissà che cosa penserebbe don Lorenzo Guetti , il padre e primo presidente della Federazione dei consorzi cooperativi del Trentino, fondata nel 1895, colosso potente tanto quanto le coop rosse dell’Emilia Romagna. O forse ancora di più. Le cooperative e gli enti che aderiscono alla Federazione trentina sono ben 536: 46 casse rurali, 79 cooperative di consumo, 92 cooperative agricole, 298 società del settore lavoro, sociali, di servizio e abitazione e 21 altre organizzazioni. Per capire la forza che ha contraddistinto fino a ora questo sistema è meglio contare il numero dei soci. In totale sono 255 mila: praticamente almeno uno per ognuna delle 222.800 famiglie della provincia di Trento, che in totale conta su 525 mila abitanti.

Ma la Federazione delle cooperative del Trentino di don Guetti, oggi guidata dal numero uno Diego Schelfi, non è più quella di un tempo. La prima febbre nell’organismo di economia sociale era emersa già più di un anno fa, con le difficoltà del Caseificio Fiavè-Pinzolo-Rovereto, la realtà più grossa del settore con una raccolta di latte che sfiora il 36% della produzione trentina. Nel 2009 la Provincia automa di Trento e le casse rurali locali hanno sborsato 22 milioni di euro per l’acquisto degli immobili di proprietà del caseificio, una manovra di salvataggio per tamponare un bilancio che aveva ben 42 milioni di debiti. Una crisi importante, ma grazie alla tradizionale sicurezza attribuita alle cooperative è quasi passata inosservata. È dovuto quindi arrivare il secondo grande problema, decisamente più deflagrante del primo, quello della crisi del sistema vinicolo trentino, per far balzare il tema al centro dell’attenzione del mondo economico e politico della provincia. Qui le cantine sociali vantano colossi come La Vis (100 milioni di fatturato, 1.500 soci, oltre 150 addetti), Mezzacorona (124 milioni e 1.500 soci, 200 dipendenti circa), Cavit (136,1 milioni, un centinaio nella forza lavoro) e le sue 11 aziende socie (che radunano in tutto 4.500 viticoltori) e hanno almeno 263 milioni di debiti verso le banche. Ma le cose diventano ancora più serie se si legge la relazione fatta qualche mese fa dal direttore di Fedcoop, Carlo Dellasega: “La cooperazione agricola, cui fa capo il 90% delle produzioni agricole trentine, ha realizzato nel 2009 un fatturato complessivo di 1,1 miliardi di euro (il 7% in meno rispetto al 2008). Seicento milioni di investimenti, 139 milioni di finanziamento da soci e 416 di debiti bancari”. Contro un patrimonio netto delle cooperative agricole trentine di 318 milioni di euro. Insomma, 555 milioni di debiti dell’agricoltura sociale, a cui si aggiungono (uno su tutti) i 57 milioni di esposizioni con le banche (casse rurali trentine) di Funivie Marilleva, oggi salvata da una spa “blindata” dall’accordo tra cooperazione trentina (Fincoop, la finanziaria della Federazione) e Dimeco srl, la società costituita dai 106 operatori privati locali. Per il vino, invece, sono scese in campo sia la Provincia autonoma di Trento, sia la Fedcoop trentina, commissariando la cantina più in crisi, La Vis, e iniziando a deliberare alcuni stanziamenti paracadute, come i 7 milioni di euro per l’acquisto di una struttura del colosso lavisiano, Maso Franch, ristorante e relais in Val di Cembra. Ma in arrivo, per l’intero comparto, dovrebbero esserci ancora 50 milioni di euro, annunciati e non ancora distribuiti. “Su La Vis evidentemente qualcosa non ha funzionato, non abbiamo saputo o potuto essere efficaci e tempestivi nell’affrontare una situazione che andava risolta dentro il sistema. Ma non è distruggendo quanto abbiamo costruito in 120 anni di storia che si aiuta la cooperazione. Al contrario, sparare nel mucchio ha come effetto di colpire a caso e spesso ingiustamente”, è il commento di Diego Schelfi messo nero su bianco in una lettera indirizzata ai vertici delle cantine. Si è aperto così un dibattito che va oltre la congiuntura negativa di un settore alle prese con una crisi di sovrapproduzione, tenuta il più possibile nascosta ma sempre più evidente negli stock di invenduti in cantina, nella pressione al ribasso nei prezzi alla grande distribuzione e nella forte preoccupazione di alcuni consorzi che stanno spingendo a preferire di dirottare il raccolto verso il succo d’uva nella nuova vendemmia o a ottenere, come hanno fatto, per esempio, le cantine cooperative del Monferrato, Astigiano e Alessandrino invocando il contributo alla distillazione per oltre 200 mila ettolitri di Barbera d’Asti, Dolcetto e Brachetto. Con le conseguenti polemiche sulla incapacità di ridurre le superfici vitate e delle rese previste nei disciplinari dei vini a denominazione di origine controllata. Insomma, è ancora sostenibile un sistema economico cooperativo che ha portato a questi numeri in rosso? Oppure è il momento di riforme e strategie più aperte al mercato, anche a costo di sacrifici? Il dibattito è appena aperto.

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