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Il Sole 24 Ore

La mappa del tesoro ... Un forziere di aromi mediterranei e buone intenzioni, viaggi del gusto e del senso della vita. A Gorgona il vino è un’esperienza dove sistema carcerario ed enologia sono parte dello stesso progetto e ogni bottiglia di pregio racconta gli abitanti dell’isola... Ogni vino racconta una storia, ma ci sono vini che mettono radici nella complessità della vita — fatica e bellezza, giorni luminosi e lati oscuri, incanto e turbamento — e intrecciano narrazioni che sono persone. Sbarcare a Gorgona, per assistere alla nona vendemmia dell’ottava Tenuta Frescobaldi, richiede un’attenzione equilibrata a tenere insieme tanti fili. C’è l’emozione contraddittoria del luogo: un anfiteatro di viti cariche d’uva, la perfezione di colori smaltati dalla brezza e l’anello di mare tutto intorno, l’odore di macchia e salmastro, il Mediterraneo nella sua espressione più pura e isolana. Eppure la tentazione romantica dell’Arcadia è mitigata dalla destinazione d’uso: Gorgona è l’ultima isola carceraria in Italia, istituita nel 1869, dove la libertà ispirata dalla natura è costrizione dettata dalle regole precise di una colonia penale. Qui i detenuti scontano l’ultima parte della pena. Se si segue il filo della loro storia, il racconto percorre gli accidentati alti e bassi di questa terra selvatica, prende la direzione delle discese vertiginose e delle salite più impegnative, parla di riscatto e voglia di rivalsa, di un mestiere che si impara nel tempo lungo dell’attesa per quando poi si tornerà sulla terraferma, sperando di reinserirsi, riabilitati, nella società e nella vita normale. “Questo progetto parla innanzitutto di uomini”, spiega Lamberto Frescobaldi. “E di donne, visto che tutto è cominciato nel 2012 quando l’allora direttrice del carcere, Maria Grazia Giampiccolo chiese a un centinaio di cantine la disponibilità a occuparsi della vigna dell’isola. Fui l’unico a rispondere”. Quello del presidente della Marchesi Frescobaldi è un altro filo da seguire. Lo dipana lui stesso, parlando con un tono fermo e leggero, come i passi che appoggia sul terreno ormai secco fra i filari. “Paghiamo i detenuti come i nostri dipendenti. Per loro lo stipendio è una piccola fortuna che serve a sostenere le famiglie e che abbatte le recidive. Non siamo qui per giudicare, queste persone sono già state giudicate, non sta a noi. Chi sbaglia, ne sono convinto, deve scontare una pena. Ma quando l’ha fatto, deve poter ricominciare. E il modo migliore perché, quando esce, non commetta nuovi reati è offrirgli un lavoro, una formazione professionale”. Queste le persone, a cui si aggiunge il nuovo direttore di Gorgona, Claudio Mazzerbo, che ha continuato a credere e investire nel progetto, l’assistente sociale e la psicologa che ogni settimana Algono sul battello per trascorrere due giorni sull'isola insieme ai detenuti, l’enologo delle tenute Frescobaldi Nicolò d’Afflitto e gli agronomi che sovraintendono a tutti i processi. Poi c’è il vino, il prodotto, finalità di questo intreccio di storie e “dev’essere un piacere di qualità. Altrimenti perché mai le persone dovrebbero berlo?”, aggiunge con pragmatica semplicità il marchese. E qui il filo diventa olfattivo, visivo, gustativo, anzi sinestesico, come sempre quando si parla di degustare un rosso o un bianco. Gorgona 2020 è color giallo paglierino, carico di riflessi dorati. Al palato regala morbidezza, è sapido e fresco, con note floreali e fruttate, mentre il naso viaggia fra cinto, elicriso, lentisco, ginepro, ginestra e un ricordo di biancospino. La produzione è limitata e biologica: solo novemila bottiglie di bianco a base di Vermentino e Ansonica. Infine l’etichetta, che è una storia nella storia, ogni anno diversa. La bottiglia è avvolta da una mappa, che orienta chi si avvicina per la prima volta a questa esperienza e, se anche acquista il vino senza essere mai stato sull’isola, deve avere la possibilità di accedervi. Gorgona 2020 è un percorso attraverso le fortificazioni dell’isola, la rocca, le torri che punteggiano la costa scoscesa e il porto. Raccontano vicende che risalgono fino all’XI secolo, quando qui vivevano i mónaci, e arrivano fino a oggi, con i lavori di restauro che all’animato saliscendi dei trattori per la vendemmia aggiungono il suono di un altro mestiere che parla di rinnovamento e cura.

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